Regia di Maurice Pialat vedi scheda film
L'adolescenza inquieta di Suzanne:la malizia dei suoi sedici anni alla scoperta del proprio corpo e della prorpia sessualità in una ronda amorosa in cui lei è il centro gravitazionale.E'indubbiamente lei il fulcro del film,tutto le orbita attorno:la sua vita fin troppo libera,i cambiamenti troppo fitti di partner,le chiacchiere in libertà con le amiche.Il senso di vuoto che inconsciamente la prende:in un dialogo pensa che la vita sarebbe ben poco interessante da vivere senza avere un ragazzo,non parla di amore,vuole solo un partner.Ecco qui affiora il suo bisogno di conoscere(e non solo biblicamente) l'altro sesso,la voglia di essere adulti e averne tutte le libertà eppure allo stesso tempo vien fuori il sentirsi indifesi come bambini in un ambiente ostile se non supportati adeguatamente.Ma in fondo è questa la sua filosofia di vita:un corpo florido da donna fatta e una testa che è ancora lontana da una sufficiente maturazione.Anche perchè il film di Pialat non è un racconto di formazione.Suzanne sarebbe una perfetta protagonista per un racconto (im)morale di Rohmer,colta nella sua debordante sensualità spontanea,quasi involontaria mentre non volendo riesce a cambiare il flusso delle emozioni di chi la circonda.Ma il cinema di Pialat si muove su coordinate totalmente antitetiche rispetto a quello di Rohmer:è cinema poco letterario e molto concreto.Gli attori di professione lavorano assieme ai non professionisti che non si limitano a fare da spalla:hanno rapporto equalitario.Il copione diventa appena un canovaccio in cui inserire continue sorprese e variazioni.La sorpresa è tangibile in alcuni frangenti particolarmente violenti sia emotivamente che fisicamente:Suzanne è presa a schiaffi dalla madre e sono schiaffi che lasciano segni in faccia oltre che provocare estrema sorpresa nello sguardo della Bonnaire.E scommetto che non erano previsti nel copione.Così come suscita non poca sorpresa il rientro in scena del padre di Suzanne(lo stesso Pialat) che compare improvvisamente in una cena nella sua casa.Dalla sopresa che si percepisce negli sguardi di tutti i conviviali credo che non fosse prevista.Molto significativo il rapporto che viene descritto tra Suzanne e il padre che è troppo lontano da lei e non solo per motivi generazionali.Il loro lungo dialogo nella parte centrale del film è molto esplicativo sia del rapporto che può essere instaurato tra un padre e una figlia sia della relazione che può essere costruita tra un regista e la sua prima attrice che deve essere guidata con affetto e fermezza.A nos amours è un film che non ha inizio nè fine nel senso che comincia da una rappresentazione teatrale tra giovani attori non professionisti in un punto indefinito della maturazione di Suzanne e finisce all'alba di un viaggio recidendo completamente il cordone ombelicale che la tiene ancora unita al padre.Ma Suzanne non sebra affatto cresciuta.E'sempre uguale.Un futuro aperto per i protagonisti,la possibilità di recuperare un affetto forse perduto con una madre nevrotica(a cui la sola vista di Suzanne causava crisi di nervi) o col fratello succube della madre e che nel finale manifesta la sua latente omosessualità.Gli amori di Suzanne invece si susseguono ma lei non è ragazza facile.E'così,sta scoprendo se stessa e quello che provoca negli altri, si concede anche solo per una semplice ripicca.Probabilmente non sa neanche che cosa vuol dire la parola amore.Addirittura si sposa.Ma dei suoi partner rimane poca traccia,sono praticamente intercambiabili.C'è solo la luce di Suzanne che illumina tutto.E con lei nasce la stella di Sandrine Bonnaire,bellissima, colta nei suoi 16 anni.Un'attrice favolosa.
colpisce il suo modo di dirigere ultrarealistico
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