Regia di Juan Antonio Bayona vedi scheda film
Una buona pietanza? Di celluloide o di merda, no, per dirla in inglese, di meat? Pellicola per palati fini? Ih ih.
Ivi sganciato da vincoli editoriali, libero di furoreggiare creativamente, disamino a mio modo, falotico, il bel film, sebbene non eccezionale, perlomeno a mio avviso, così come esplicherò nelle righe a venire, La società della neve. Il cui titolo originale è La sociedad de la nieve, a sua volta “americanizzato” internazionalmente in Society of the Snow.
Film Netflix, presentato in chiusura all’ultima edizione del Festival di Venezia, per l’esattezza, l’ottantesima, è un interminabile, in termini di minutaggio, sebbene appassionante eppur non del tutto convincente, opus, giustappunto, della durata di due ore e ventiquattro minuti circa, compresi i lunghissimi titoli di coda, diretto dal regista Juan Antonio Bayona, qui accreditato, nel nome, sol come J.A., da lui stesso sceneggiato assieme a una sfilza di writers collaboratori (elencati su Wikipedia nel link che sotto vi riporto, in riferimento all’inerente trama), a partire dall’omonimo libro di Pablo Vierci, concernente il tragico e inquietante accaduto in quel della Cordigliera delle Ande nel ‘72, quando il volo 75, con a bordo tutti i membri d’una giovanile squadra di rugby diretta verso il Cile, più alcuni relativi lor parenti, si schiantò e violentissimamente precipitò fra le suddette montagne in seguito a una mal calcolata turbolenza devastante. La maggior parte dei passeggeri, compreso il pilota e tutto l’equipaggio, morirono sul colpo o dopo poco, agonizzando terribilmente. Anche alcuni dei superstiti, rimasti feriti non gravemente o addirittura totalmente illesi, a distanza di breve tempo, schiattarono per il freddo e le condizioni ambientali e climatiche, specialmente notturne, a bassissime temperature disumane. Alla fine, dei quarantacinque viaggiatori, ne rimasero vivi solamente sedici. Dal giorno tremendo dall’incidente alla “miracolosa” salvazione avvenuta, però, scattò, diciamo, l’istinto di sopravvivenza di natura antropofaga poiché, terminato il cibo, per non morire di fame, i “vivi” furono giocoforza costretti a mangiare i morti... Ah, il cannibalismo immorale dei mortali... quasi necrofili o solo disperati, sempre a rischio di restare ibernati, dalle valanghe divorati e soffocati, lacerati e assiderati, forse semplicemente, per modo di dire, gravemente infreddoliti e metaforicamente, nell’animo, scarsamente e scarnamente, riscaldati?
Se volete leggerne la sinossi dell’enciclopedia generalista sopra menzionatavi, cliccate qui:
https://it.wikipedia.org/wiki/La_societ%C3%A0_della_neve
Senz’esservi oltremodo pedante e descrittivo di esegesi particolareggiata e pleonastica, affermo immantinente che la pellicola, dopo una prima mezz’ora abbondante, assai palpitante e fortemente spettacolare, visionaria e naturalmente angosciante, pian piano non decolla più, viaggiando troppo sulle traiettorie aeree, no, enfatiche d’una retorica esagerata e virando verso una romanzata, dolciastra visione poco a volo, cinematograficamente parlando, d’aquila, accartocciandosi e bruciando in melensi siparietti poco credibili e stentando, non poco, in verosimiglianza. Eccedendo in riprese flou miste a panoramiche delle Ande che, più che a una tragedy corposa e degna d’aroma, figurativo ed emozionale, veritiero, paiono essere intonate all’ex estetica da cartolina dell’ex celeberrima pubblicità del cioccolato Novi, a sua volta shakerata, diluita e dilungata in una scopiazzatura dell’Everest... di Baltasar Kormákur. Fra svolazzi, ripeto, soprattutto estetici, oltre che discutibilmente etici, poco realistici, digressioni superflue contrappuntate invece, bellamente, da scene invece ad alto tasso adrenalinico dense di sentito pathos, La società della neve, che rappresenta la Spagna, nella categoria di miglior film straniero, gareggerà e rivaleggerà contro il nostrano Io capitano e, in prima linea (non Alitalia, eh eh), col favorito Anatomia di una caduta... non d’un aeroplano, eh eh. Dunque, dopo il semi-misconosciuto I sopravvissuti delle Ande e il più famoso, però non di certo eccelso e sinceramente dimenticabile, Alive con Ethan Hawke & Vincent Spano + comparsata di John Malkovich, quest’ultimo liberamente ispirato al romanzo di Piers Paul Read, Tabù e annesso sottotitolo chiarificatore, Bayona ritorna sul luogo del delitto, no, di tale storia oltre i confini dell’incredibile a base di disgustoso cannibalismo scioccante.
A tratti incollandoci allo schermo, spesso invece, ahinoi, annoiandoci e banalizzando la vicenda, rendendola, specialmente negli ultimi 60 min., decisamente stomachevole. Peccato.
Siamo oramai al terzo tentativo di rendere viva quest’allucinante tragedia di morte, sofferenza, coraggio, dolore e orrore. Dei tre tentativi di salvataggio, no, di tal “trasposizione”, La società della neve, pur non essendo affatto un capolavoro, neppure sfiorandone minimamente le vette, non montagnose, eh eh, ne è comunque la “versione” migliore.
Figuratevi le altre succitate due... roba indigeribile come la carne umana per chi non è Hannibal Lecter.
Il quale, peraltro, seppur facendosene scorpacciate e gran magnate, non era esperto di grigliate al sangue ghiacciato.
Freddura finale del Falò, oh oh.
Inoltre, il protagonista, sin a un certo punto... (e non voglio compiere spoiler), è scarnificato, no, incarnato dalla versione uruguaiana, a livello fisionomico, di Adam Driver, ovverosia Enzo Vogrincic, mentre Fernando Parrado, detto soltanto Nando, dall’attore Agustin Pardella. Ragazzo fotogenico e talentuoso che speriamo non venga, nella carriera, arrostito.
Da cui il detto, in linea con la “tematica” del film, dal Pardella, no, dalla padella alla brace, ah ah.
di Stefano Falotico
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta