Regia di Mauro Bolognini vedi scheda film
«[Bolognini] ama il formalismo postdannunziano, sensualistico e antiquariale […]. La necessità delle distinzioni, che dovrebbe essere fondamentale per un regista eclettico come lui, non sa neppure cosa sia. E non se ne preoccupa.» (Fernaldo Di Giammatteo su “Bianco e nero”, cfr. Pier Maria Bocchi e Alberto Pezzotta, “Mauro Bolognini”, Il Castoro, p. 75). «Poco apprezzato al momento dell’uscita, “Agostino” si rivelerà poi un’opera di pregio, in cui l’attenzione quasi morbosa all’evoluzione della personalità adolescenziale, lo sfruttamento metodico della scenografia naturale in squallidi ambienti (il bianco e nero di Aldo Tonti è reso pastoso dai filtri), la vena di sottile misoginia che attraversa la storia (accentuata dalla presenza impositiva della bergmaniana Ingrid Thulin) danno la misura di un temperamento di autore che si sovrappone nettamente, con la forza dell’originalità, alla materia letteraria a cui si ispira.» (Fernaldo Di Giammatteo e Cristina Garavaglia, “Dizionario dei capolavori del cinema”, Bruno Mondadori, 2004). Allora? E va bene, cambiare idea è lecito, e spesso anche sintomo d’intelligenza ed onestà intellettuale. Però, quando si pontifica dalle colonne di riviste specializzate, si dovrebbe essere più cauti nell’esprimere giudizi trancianti come quello messo nero su bianco dal defunto critico torinese, che peraltro fu il fondatore della collana “Il Castoro Cinema”. “Agostino” mi sembra un buon film, da vedere e da far rivedere, anche perché oggi pressoché introvabile (e dove sono finiti altri film di Bolognini come “Senilità” e “L’assoluto naturale”?). Per di più è un film che, nel 1962, affrontava tematiche ancora tabù sui migliori schermi d’Italia, come il complesso d’Edipo, la rivelazione dell’omosessualità, il passaggio dall’infanzia all’età adulta attraverso l’iniziazione sessuale. Non per niente, il film del regista pistoiese fu vietato ai minori di diciotto anni. Bolognini affrontò la materia derivante da un romanzo breve di Moravia, annegandola nell’acqua della Laguna veneziana (dove spostò l’azione che, nel testo originario, si svolgeva a Viareggio): l’acqua dei tanti bracci di mare di Venezia sembra voler rappresentare il momento di passaggio da una situazione ad un’altra, con le molte isolette lagunari a fare da approdi, magari momentanei, alla consapevolezza del protagonista riguardo alla vita: sul mare o sulle spiagge della Laguna, Agostino avrà le rivelazioni su quanto gli sta accadendo intorno, sulla nascita della relazione tra la madre e Renzo, sul fatto che i due avevano rapporti sessuali, sull’omosessualità del pescatore Saro, sulla circostanza inconfutabile che egli è ormai consapevole di ciò che comporta diventare adulti, ma che ancora adulto non è. Bolognini, in film come questo, aveva il coraggio di confrontarsi con le sue e nostre contraddizioni esistenziali.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta