Regia di Rainer Werner Fassbinder vedi scheda film
"Voglio fare una dichiarazione tutta personale: in quanto presidente della Giuria, voglio esprimere la mia delusione per non essere riuscito a convincere i miei colleghi a premiare Querelle di Fassbinder; di fatto mi sono ritrovato da solo nel difendere il film, ma sono convinto che, al di là di ogni controversia, l’ultimo film di R. W. Fassbinder, lo si voglia o meno, un giorno troverà il suo posto nella storia del cinema.”
Marcel Carné, Presidente della Giuria del 39° Festival di Venezia 1982.
Raramente altre dichiarazioni risultarono più profetiche di queste.
Il 1982 fu un anno molto prolifico di film indimenticabili ed epocali.
Solo quell’anno al Festival di Venezia, l’opera postuma di Fassbinder gareggiò contro capisaldi di ogni tempo del tipo “Lo stato delle cose” di Wenders (il Leone d’oro effettivo), “Blade Runner” di Ridley Scott, “I misteri del giardino di Compton House” di Greenaway, o comunque contro registi di fama come Allen, Rohmer, Amelio, Bellocchio, che si difendevano con opere ancora molto note o fondamentali per le carriere dei rispettivi cineasti.
Non deve essere stato semplice per una giuria arrivare ad un verdetto condivisibile, posto che comunque dimenticarsi dell'opera quipresente è un errore di principio che rende opportuna e pertinente la precisazione del suo illustre presidente.
Dal romanzo-scandalo di Jean Genet, pubblicato clandestinamente tra il 1945 e il ’46 con disegni di Cocteau, Rainer Werner Fassbinder ne trae la sua ultima, definitiva opera cinematografica, che fu presentata a Venezia ed uscì nelle sale postuma di oltre 4 mesi, in seguito alla morte del regista per overdose nel giugno 1982.
Un film definitivo in molte accezioni, dove la morte, la fine, il vuoto dell’anima e dei sentimenti, si colorano con pertinenza del rosso stordente, forzato e ammaliatore, di un tramonto mozzafiato che incendia le potenti mura dalle forme fa...che che cingono il porto della città bretone di Brest.
E’ qui che sbarca il cargo mercantile Vengeur dove lavora Querelle, marinaio tanto bello quanto oscuro e contraddittorio nelle scelte di vita che lo assillano, equivoche, seducenti e inconfessabili e difficili da accettare pure per se stesso.
Del tutto cosciente del bell’aspetto che lo caratterizza e che lo rende inevitabilmente preda contesa e bramata da una ciurma di pari posto, ma pure di ufficiali, che lo desiderano con un carnalità che a stento riescono a trattenere, il marinaio si reca, come d’abitudine, presso un noto bordello di Brest, La Feria.
Un localaccio gestito da un gigante nero di nome Nono e dalla sua affascinante e matura consorte, Lysiane, entreineuse e cantante con buona pace del marito, noto tra la clientela per una sfida insolita e maliziosa che è solito lanciare ai più avvenenti clienti del locale: una partita a dadi in cui se vince il cliente, avrà in premio le grazie della consorte, mentre se vince l’oste, questi dovrà concedersi a lui. Querelle bara per perdere, desiderando ufficializzare la svolta che potrebbe ravvivare le giornate vuote e senza senso in una deriva lontano da casa e da ogni affetto.
In un contesto soffocante che le meravigliose scenografie teatrali ed oniriche accentuano come in un incubo tra estasi e dolore fisico e morale, seguiamo l’intrecciarsi dei sotterfugi organizzati da lochi individui in cerca di appagamento, che trovano nel fisico perfetto sino all’imbarazzo del marinaio, lo strumento di piacere adeguato e perfetto per appagare desideri troppo a lungo inespressi o soffocati.
Una voce narrante maschile, inflessibile e poco propensa alla reticenza quanto a descrizione di situazioni e desideri, si prodiga a riferire, senza censura alcuna, stati d'animo e pratiche sessuali con una cura al particolare che ha destato (e forse desta ancora) imbarazzi e censure da parte di chi predilige i sottintesi e il non detto, e creando scalpore ancor più di qualche immagine forte o quanto meno altamente provocatoria.
Querelle si appaga a sua volta a venir considerato un oggetto di piacere, conteso com'e' da mozzi come da ufficiali (primo fra tutti l’indeciso e combattuto Capitano Seblon/Franco Nero, che idealizza la sua attrazione invero tutt’altro che platonica), da poliziotti corrotti come da assassini, dalla stessa cantante Lysiane che legge nelle carte un futuro incerto e che poi la donna adatta alle proprie personali comodotà od occorrenze.
Querelle vive come sospeso ecompiaciuto un'attesa oziosa sul porto: oziosa e proficua in verità, in quanto il marinaio intervalla le sue giornate monotone tra la contemplazione spudorata (degli altri nei suoi confornti) e lo spaccio di oppio, senza farsi remore nell'uccidere lo scagnozzo che tenta di fregarlo sul prezzo.
Omicidi, bramosie, incesto o desiderio di attuarlo, esasperazione della virilità maschile sottolineata quasi costantemente da un coro di voci maschie che fanno da sottofondo ad un io narrante schietto e brutale che non si sottopone a giri di parole del descrivere il commercio di carne che circoscrive i bassifondi della città portuale di Brest.
E Jeanne Moreau, puttana per scelta, ma con sentimento, tanto da barare alle carte pur di modificare a suo favore il corso degli eventi, è l’unico essere umano (oltre che l’unica presenza femminile del film) a provare ancora un barlume di sentimento che non sia la pura bramosia carnale, con la sua celebre “Each man kills the things he loves” sintetizza nel titolo del suo famoso pezzo tutto l’epicentro e l’ossessione del film e del suo autore.
La morte di un sentimento primario come l’amore, il sacrificio fisico e morale, il vuoto come unico miraggio di un orizzonte fasullo, sono i veri protagonisti di Querelle, e l’atmosfera di attesa indolente, soffocante di calura che fa sudare i corpi scolpiti dalla fatica fisica, di annoiata complicità virile necessaria per vincere l’inedia di lunghe giornate di riposo vuote e senza un progetto o un fine, sono perfettamente rese da una scenografia di cartapesta onirica e fiammeggiante che circoscrive come un cappio alla gola l’universo perduto degli uomini, tutti alla deriva anche se al sicuro tra le mura possenti di un porto.
Un film comunque definitivo (almeno come lo fu Salò per Pasolini), e non solo a causa dei tragici eventi che hanno coinvolto il regista, morto poco dopo le riprese; un film maledetto e controverso a cui le parole scritte da un Carné inevitabilmente imbarazzato per la sconfitta di cui fu responsabile senza colpa, si cementano come in una delle più appropriate e realistiche profezie.
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