La recensione su La doppia vita di Veronica

di mm40

4 stelle

Due ragazze si sfiorano per caso. Sono identiche, sono la stessa persona in due esistenze parallele. Poi riprendono le loro vite, normalmente. Dotate cantanti entrambe ed entrambe con problemi cardiaci, la Veronica polacca muore esibendosi sul palco, mentre la Veronica francese, per una sorta di presentimento, decide di abbandonare il canto e conosce uno strano scrittore di cui si innamora.

Girato nell'ultima fase della carriera di Krzystof Kieslowski, La doppia vita di Veronica si situa fra le sue due saghe più note: quella del Decalogo (1988, dieci titoli) e quella dei tre colori, uscita fra il 1993 e il 1994 e composta da Film blu, Film bianco e Film rosso. A confronto con tali opere, La doppia vita di Veronica sembra un pallido esercizio da parte del regista e sceneggiatore (insieme a Krzystof Piesiewivcz) polacco, cento minuti di sorprendente nullità che tentano di evocare pathos e mistero con mezzi banalotti (la perenne penombra in cui si muovono i personaggi, per es.) e risultati altrettanto mediocri. La consequenzialità dei dialoghi e delle situazioni messe in scena naufraga molto presto, lasciando spazio a una narrazione solo in apparenza lineare, ma a tutti gli effetti sbracata negli stessi contenuti, come un puzzle ricomposto inserendo tessere a forza pur di mettere insieme qualche cosa. Eppure a Cannes Kieslowski e questa sua pellicola non all'altezza della sua fama sono stati elogati e pluripremiati, con un riconoscimento in particolare che lascia perplessi e cioè quello a Irene Jacob come miglior attrice, intrappolata in un ruolo monocorde e scialbo che ricorda molto da vicino l'ambiguo personaggio della futura Amelie Poulain (Jean-Pierre Jeunet, 2001: Il favoloso mondo di Amelie). 4/10.

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