Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
Il male della vita sono le nostre ossessioni: questo principio, che il tardo Buñuel calerà con grottesca ironia nell’ambiente elitariamente perverso della borghesia europea, nel ciclo messicano degli esordi assume le primitive sembianze di un demone uscito dalla terra. Nell’ambiente rurale latinoamericano le radici del peccato sono ancora saldamente attaccate all’humus degli istinti, e non hanno ancora prodotto quelle contorte ramificazioni pseudointellettuali con cui, da Bella di giorno in poi, le cattive intenzioni cercheranno di aggirare le convenzioni ed ingannare le apparenze. La bellezza e l’eleganza sono le armi di seduzione dello spirito selvaggio, che trova un terreno fertile proprio nell’aridità del perbenismo, il quale, perseguendo l’astinenza coatta dagli impulsi, ne diventa la vittima indifesa. L’allusione è quella piccola infrazione dell’innocenza che apre il varco alla tentazione: il quadro lucido e splendente da mélo hollywoodiano è improvvisamente chiazzato da una ditata maligna, da un subdolo artiglio che incrina la superficie specchiata anticipandone la deflagrante rottura. La raffinata ambientazione agreste ospita sia l’idillio amoroso, sia la letale insidia, che sono i due volti della natura, ora solare e generosa, ora oscura e minacciosa. I doni del creato sono ricchi e preziosi, eppure dannatamente fragili e fuggevoli, perché la vita che nasce reca già in sé la venatura della morte: così un uovo fresco va in frantumi, e un puledro non sopravvive al parto. La macchia originale è la congenita debolezza della nostra anima, che troppo facilmente cade nell’errore e perde la propria dignità. In questo film, la giovane ed ammaliante Susana è l’incarnazione di quel rumore di fondo che ci richiama continuamente verso il basso, verso quell’abisso sperduto dal quale le nostre astrazioni appaiono come galassie lontane, appartenenti ad un universo troppo perfetto e sublime per essere alla nostra portata. La gravitazione universale attrae la materia verso la materia, secondo un’interazione tra simili che spinge l’uomo verso gli animali, ed il corpo verso la concretezza. Un fattore può amare la sua giumenta, e suo figlio nutrire una passione per gli insetti, con la stessa intensità con cui entrambi rimangono sopraffatti dal fascino femminile. La carne è la sostanza che accomuna gli uomini e le bestie, esprimendo, nel contempo, brutalità, pesantezza e caducità. L’unico rimedio è l’armonia derivante dall’affetto familiare che, attraverso i legami del sangue, si contrappone risolutamente alle forze disgreganti del caos, che tutto rimescolano e distruggono. Adolescenza torbida è, in fondo, un film d’azione, in cui è la scelta di andare o di restare, di respingere o accettare, di punire o perdonare, a determinare i destini individuali, decidendo infine se, passata la tempesta, tutto debba o meno ritornare come prima.
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