Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
Film considerato minore, ma non privo di irriverenti e divertenti squarci creativi che rendono pienamente riconoscibile la firma di Luis Buñuel.
Uno dei film messicani di Luis Buñuel, girato nel 1950, immediatamente dopo un capolavoro: Los Olvidados.
Questa pellicola, di cui il grande regista non fu mai pienamente soddisfatto, appartiene al gruppo di film considerati, forse non sempre giustamente, “alimentari”, quelli girati sotto l’urgenza di procurare a sé e alla propria famiglia il sostentamento indispensabile. In soli 20 giorni egli lo mise insieme, anche per ovviare agli scarsissimi incassi della precedente sua opera, che fu riconosciuta in tutto il suo valore con molto ritardo.
La storia di Susana (Rosita Quintana) è il racconto della difficile adolescenza di una bellissima e procace fanciulla, il cui nome evoca una mitica figura biblica, diventata il simbolo della castità (la casta Susanna) e più volte rappresentata nell’iconografia sacra occidentale, mentre, nuda e intenta al bagno, viene osservata dai vecchioni che si introducono furtivamente nella sua casa per ricattarla e violarne il corpo.
Qui vediamo invece capovolgersi il racconto biblico: Susana,infatti, non solo non è casta, ma ricorda, in una preghiera blasfema a Dio, la propria diversità: Lui l’ha creata così; Lui la proteggerà!
Dopo essere fuggita – la risposta di Dio era arrivata come per miracolo – dal riformatorio, si era introdotta in piena notte – spacciandosi per una povera orfanella, santa e senza nessuno al mondo – nel cuore di una famiglia molto in vista.
Susana tenterà di sedurre dapprima il giovane rampollo Alberto (Luis Lopez Somoza) – che sino al suo arrivo si era occupato solo dei suoi studi naturalistici – e in seguito il ricco fazendero, Guadalupe (Fernando Soler), padre di Alberto e padrone di casa, con lo scopo di sostituire nel suo cuore – e nell’azienda – la moglie, la cristianissima Dona Carmen (Matilde Palou), che l’aveva accolta come una figlia, nonostante le paure superstiziose di Felisa (María Gentil Arcos).
Dalla fuga di Susana prende l’avvio il film che ne rappresenta la sfrontatezza, facendole assumere l’immagine simbolica della forza dirompente della sessualità, in grado di sconvolgere il tranquillo procedere della vita di un’intera famiglia, incrinandone profondamente la serenità. Il regista, però, confessa che avrebbe voluto rappresentare la giovane in modo meno convenzionale, sembrandogli che l’eros nel film fosse un po’ semplicistico e scoperto, privo di quel carattere culturalmente complesso che avrebbe voluto imprimergli e che connoterà invece film come Salita al cielo, El o Estasi di un delitto .
Credo però che alcune parti del film portino la sua firma inconfondibile, in certo modo facendo giustizia delle denigrazioni numerose.
Penso al grosso e pelosissimo ragno che appare là dove prende forma di croce l’ombra delle sbarre nella cella del riformatorio in cui Susana è reclusa, con effetto ironicamente blasfemo: sappiamo che il regista amava i ragni e la loro innocua bruttezza.
Penso anche alla notevole potenza erotica nella scena in cui le uova, raccolte nel grembiule di Susana, si rompono – durante il tentativo di respingere l’abbraccio del suo spasimante Jesus - imbrattandone le cosce con effetto di trasparente allusività.
Molto divertente, infine, la scena, ispirata a una pagina del Don Chisciotte, in cui si vedono Susana e Alberto incontrarsi in una nicchia del pozzo di casa.
Nel complesso, dunque, un’opera tra le minori del grande regista, con alcuni spunti molto interessanti, al di là della rappresentazione un po’ convenzionale della diabolica giovane capace, con le sue perfide arti, di insidiare la pace di una famiglia rispettabile.
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È tratto da Wikipedia il dipinto di Artemisia Gentileschi sul tema di Susanna e i vecchioni.
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