Regia di Tim Mielants vedi scheda film
Si avvicina il Natale di piccole cose come queste che, ringraziando un Dio ignoto, ancora, forse, esistono.
Mentre proseguivano e incontravano altre persone che conosceva e non conosceva, si ritrovò a domandarsi che senso aveva essere vivi se non ci si aiutava l'uno con l'altro. Era possibile tirare avanti per anni, decenni, una vita intera senza avere per una volta il coraggio di andare contro le cose com'erano e continuare a dirsi cristiani, a guardarsi allo specchio?
Un passo dal libro Piccole cose da nulla di Claire Keegan offre le parole per tradurre i silenzi dominanti nel film di Tim Mielant, Piccole cose come quest , film di apertura alla Berlinale 74.
Un piccolo film, come si dice quando il tono è dimesso, non scalpita, non urla, si adatta alla dignitosa povertà degli ambienti, mette in scena storie qualsiasi di personaggi che convivono con situazioni sepolte nel profondo.
Bill Furlong (Cillian Murphy in una interpretazione che con il sorridente candore del viso regala una luce inattesa fra le brutture e la miseria in cui vive) è un carbonaio irlandese, quell’Irlanda anni 80 che fino a pochi decenni fa viveva di miseria e guerra civile, cose che hanno lasciato un lungo strascico fino ai giorni nostri, basta fare un giro a Belfast o guardare nei paesini sepolti lungo le meravigliose coste frastagliate.
Di poche parole e lunghi sguardi, le sue parole e il suo silenzio a volte sono deflagranti come avvenimenti.
Ha cinque figlie e una moglie, vita tranquilla e casa molto modesta dove torna ogni sera e si lava le mani nere di fuliggine nel lavandino ripreso dall’alto, un plongée immersivo che si ripete più volte e fa entrare lo spettatore nell’universo chiuso, soffocante, di Bill, un mondo grigio di ombre e neve, dove sembra non debba mai nascere il sole.Fonti pittoriche, espediente comune per restituire il clima di un'epoca, possiamo rintracciarle nelle tele di Rembrandt o Caravaggio, il buio tagliato da improvvise lame di luce soffoca la prospettiva e focalizza il nucleo narrativo.
E’ Bill il nucleo narrativo esclusivo, il carbonaio che parte ogni giorno, prima dell’alba, col camioncino carico di pesanti sacchi che, uno alla volta, mette in spalla a fatica e scarica nelle case.
Una di queste è il deposito del convento vicino, gestito dalle suore del Buon Pastore, che ospita sia una lavanderia che un'ambita scuola per signorine. Lì, proprio lì, vuol mandare dopo il diploma la primogenita, ragazzina studiosa che vuol fare Economia.
Non sa, il nostro Bill, di quali abusi e sopraffazioni quel convento è il centro a partire dagli anni Venti.
Le suore, con la badessa a capo, una Emily Watson strepitosa nel ghigno ipocrita e finto buono con cui gestisce un potere assoluto su suorine accondiscendenti e devote, tessono le fila di un lucroso giro di fallen girl, ragazze che hanno “sbagliato” e sono incinte, portate lì a forza dalle famiglie dove i neonati chissà, forse saranno venduti o forse uccisi. Si contano 56.000 neonati e oltre 30.00 ragazze che il governo statale e le sovvenzioni della chiesa cattolica hanno consegnato alle Magdalene nel silenzio complice della popolazione.
E’ qui che Mielant incastona la storia vera alla fiction: Bill assiste per caso al ricovero coatto di una ragazza piangente e non ci sta.
Si scatenano a ripetizione flashback della sua infanzia infelice, senza genitori. Ma lui ne ha trovato una di adottivi, brave persone, quella ragazza ha ben altro destino. Lentamente prende coscienza, non accetta di stare a guardare o girarsi dall’altra parte.
L’azzurro dei suoi occhi chiari è quel raggio di sole che manca ad un’umanità bacata, capace di vivere indifferente vicino a tragedie di cui finge di non accorgersi o, peggio, che contribuisce a causare.
La neve continuerà a cadere e coprire il fango, il carbone darà calore alle case dei benpensanti borghesi, ma Bill quella ragazza non la lascerà sola e tremante nella carbonaia in cui si è rifugiata.
Le sue mani non sono quelle di Lady Macbeth macchiate di sangue indelebile. Il nero del carbone scivola giù nel lavandino e a tavola si può ben mettere un posto in più.
Non a caso si avvicina il Natale, non quello sfavillante di luci e spese pazze, è il Natale di piccole cose come queste che, ringraziando un Dio ignoto, ancora, forse, esistono.
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