Regia di Patrick Dickinson vedi scheda film
La malattia e la morte, il dolore e il bisogno di perdonare e di perdonarsi, sono gli elementi che dominano un film pacato e al tempo stesso sofferto, raccontato dal punto di vista del padre ma girato idealmente dal figlio, in uno sforzo di riconciliazione che prende le mosse da un desiderio che ha origine nella memoria della madre bambina.
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A Tokyo, in una giornata piovosa, Kenzaburo esce pensieroso di casa, prende il tram e si reca al mercato in cerca di un polpo, perché così ha sempre festeggiato l'anniversario di matrimonio con la sua Akiko. Dopo averlo trovato, lo fa incartare e lo porta ad una tavola calda dove lo conoscono già: lì lo fa cucinare e apparecchia il bancone per due, anche se accanto a lui c'è un posto vuoto. Poi prende in mano il suo bicchiere di birra e lo fa schioccare con l'altro.
Senza alcuno stacco, un flashback porta la sua vita indietro di oltre trent'anni, a quando in quello stesso locale e seduto allo stesso bancone fece la conoscenza di Akiko, mangiando insieme polpo e brindando con la birra.
Terminato questo doveroso rito, l'uomo viene informato da Toshi, il figlio avuto con lei, che il sacerdote del tempio lo cerca. Si recano insieme da lui, e questi gli consegna una lettera che lei scrisse e gli affidò anni prima dietro la promessa di dargliela quando il suo strazio sarebbe finito, e nella quale gli chiede di esaudire la sua ultima volontà: disperdere le sue ceneri presso il lago Windermer, in Inghilterra, e farlo in presenza anche del figlio.
Nelle note di regia, il giovane Patrick Dickinson (autore anche della sceneggiatura) sottolinea i tratti autobiografici di una storia che sente estremamente personale, lui inglese cresciuto con una passione innata per la cultura giapponese, figlio di un padre chiuso, scontroso e dedito all'alcool (molto vicino al Kenzaburo cui in Cottontail da il volto un provato Lily Franky - tra gli attori perferiti di Kore'eda), trasferitosi in Giappone per studiare la loro lingua e costretto a tornare per accompagnare alla morte la madre molto malata.
Come già il delicato incipit, l'intera storia è narrata alternando, sempre in ordine cronologico, il racconto del viaggio che l'uomo fa alla ricerca del lago, accompagnato dal figlio, dalla nuora e dalla nipotina, ai suoi ricordi della vita con lei, con un occhio sempre discreto al rapporto ruvido con il figlio, e un altro intriso di affettuoso realismo alla relazione di mutuo soccorso romantico con l'amata.
La malattia e la morte, il dolore e il bisogno di perdonare e di perdonarsi, sono gli elementi che dominano un film pacato e al tempo stesso sofferto, raccontato dal punto di vista del padre ma girato idealmente dal figlio, in uno sforzo di riconciliazione che prende le mosse da un desiderio che ha origine nella memoria della madre bambina, e come unico indizio una foto dai dettagli inevitabilmente imprecisi, con riferimenti a una fiaba - notissima in Giappone - rimastale negli occhi e nella testa fino alla fine.
Britannico nel manico ma nipponico nel cuore, Cottontail è un esordio intenso e positivo sull'elaborazione del lutto come percorso terapeutico teso a rinforzare un legame parentale logorato dal troppo silenzio.
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