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Megalopolis

Regia di Francis Ford Coppola vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Megalopolis

di mck
7 stelle

(Francis,) the Civilist.

 

 

Più che una domanda, quella incisa nella pietre arenarie, nella rocce di travertino o nelle lastre di marmo (non vetro/cemento armato/acciaio, e non ancòra megalon) di quel ch’era (Old) New York (o Gotham City, s’è per questo) còlta nel suo assestamento poco dopo una prima caduta (ma non un crollo/collasso) post-Ellis Island, King Kong e 9/11, ma "non" C.C.C.P., nella terza inquadratura di questa utopia (“school-city”) ready-made (“pronta” da almeno quarant’anni) progressista-liberal-conservatrice e financo autoproclamatasi emersoniana “persa” tra “Cabiria”, “Metropolis” e “the FountainHead”, giungendo sin fino a “Inception”, “Hugo” e “Midnight Special”, ch’è “Megalopolis: a Fable”, è un monito:

                   «LA NOSTRA
        REPUBBLICA AMERICANA
            NON È COSÌ DIVERSA
             DALL’ANTICA ROMA.

                    RIUSCIREMO
A PRESERVARE IL NOSTRO PASSATO
        E TUTTA LA SUA MIRABILE
                      EREDITÀ?

                  O ANCHE NOI
        CADREMO VITTIME, COME
          L’ANTICA ROMA, DELLA
    INSAZIABILE BRAMA DI POTERE
               DI POCHI UOMINI.»

Il punto interrogativo si ferma a 2/3 della frase e a metà della domanda, spezzandola, così che la seconda parte di quello che poteva apparire come un quesito organizzato in un unico costrutto in realtà diventa non più una richiesta d’informazioni presentata in maniera indiretta, ma bensì una delucidazione a monito: “Riusciremo a…?”, perché altrimenti… 

 

 

Ennesimo errore lieve (o grave refuso) di un film che d’imprecisioni e svarioni di montaggio n’è ripieno e stracolmo

(così com’è ricolmo e strapieno – oltre che, d’altro canto, di un peculiare flusso del racconto che riesce a condurre in porto due ore di spettacolo “inusitato”, ma necessitevole - per la gioia dei detrattori e la speranza di tutti gli altri - di almeno unora in più per emendare alla sintesi crudele operata a colpi d’ascia e scure sul viavai delle ramificazioni dellintreccio – d’incongruenze a livello di logica elementare: per dire, segnatamente quanto diamine sono veloci gli stratocumuli nell’alto cielo sopra Megalopolis e quant’è probabile la casualità che putacaso, pensa un po’, tra la moltitudine sia proprio Julia ad essere in un primo momrnto immune ai poteri di Cesar per poi diventarne co-artefice catalizzandoli ed innescandoli?)

tanto dal PdV della continuità verticale delle singole sequenze quanto in quella orizzontale della trama, che avanza per autentici salti temporali che avrebbero la funzione di connettere, attraverso una paradossale assenza di correlazione che lo spettatore è chiamato a colmare e trovare da sé

(per contro, “Megalopolis: a Fable” è un film che per parlare di ciò che intende mettere in scena deve formulare il tutto accompagnandolo con un’azione esplicita, ovvero… toccare l’argomento: ad esempio Julia per discutere con Cesar del troppo alcol da lui scolato si avvicina a un mucchietto di bottiglie vuote raccoltesi in accumulo spontaneo sul pavimento dando loro un buffetto col dito indice)

lungo il farsi e dipanarsi dei continui rilanci in medias res, i blocchi narrativi i quali invece risultano scollegati tra loro, o avvertimento enunciato ed esposto in forma un po’ (anche per cause di forza maggiore) lasca (nel mucchio: il momento col piccolo Luigi Mangione in nuce è prevedibilissimo) alle società civiltà umanità. [No question mark: tertium non datur.]

 


La gradevole semplificazione harariana (“Homo Deus”) incarnatasi, o, meglio, sublimatasi, in cinema: “Ma se è la nostra mente che può inventare gli dèi, e se da essi scaturisce un tale potere, perché non possiamo usare quel potere direttamente”, senza intermediari?

 

 
Cos’altro ci si poteva aspettare dal regista di - capolavori e/o meno - “Apocalypse Now: Redux”, “One from the Earth” e “Bram Stoker’s Dracula” (o anche di “the Godfather- Part III” e “Twixt”) se non questa cosa qua (una crasi tra “Modern Times” e “A King in New York” girata come se fosse la versione esplosa di “A Countess from Hong Kong”), quest’antecessoria parafrasi rigonfiata (estrogeno-testosteronica, cringe-kitsch) di “the Brutalist” innestata a spaglio con una mescolanza di “Speed Racer” e di cascami, lacerti e rigaglie lynchani castrati da un allure luhrmann-chazellesco e mal manovrati dall’Aronofsky-“touch”?

 


Adam Driver (“Girls”, “Frances Ha”, “Inside Llewyn Davis”, “Tracks”, “Hungry Hearts”, “While We're Young”, “Midnight Special”, “Paterson”, “Silence”, “the Meyerowitz Stories”, “Logan Lucky”, “BlacKkKlansman”, “the Man Who Killed Don Quixote”, “the Dead Don’t Die”, “the (Torture) Report”, “Marriage Story”, “Annette”, “the Last Duel”, “White Noise”, Ferrari”, “Father, Mother, Sister, Brother”) è difficile che sbagli - non un ruolo, ma - un’interpretazione, anche se lo pagassero per farlo. Giancarlo Esposito (Do the Right Thing, King of New York, Mo' Better Blues, Night on Earth, Bob Roberts, Malcolm X, Ali, Breaking Bad, Better Call Saul, the Long Home, Okja, Godfather of Harlem, MaXXXine) è forse quello che s’impegna maggiormente, assieme ad Aubrey...

 

 

...Plaza (“Parks and Recreation”, “Scott Pilgrim vs. the World”, “Safety Non Guaranteed”, “the To Do List”, “Ned Rifle”, “Life After Beth”, “the Driftless Area”, “Addicted to Fresno”, “Joshy”, “Legion”, “the Little Hours”, “Ingrid Goes West”, “An Evening with Beverly Luff Linn”, “Black Bear”, “Happiest Season”, “Best Sellers”, “Calls”, “the White Lotus: Sicily”, “Spin Me Round”, “Emily the Criminal”, “My Old Ass”, “Honey Don’t!”, “Olga Dies Dreaming”), anche se quella di lei è una viscerale forza naturale (poi non so fino a che punto entrambi ci credano, al progetto, ovviamente per quel che ne possono aver percepito dalle personali porzioni compartimentate di script e riprese vissute). Nathalie Emmanuel (“Game of Thrones”) getta il cuore oltre l’ostacolo, e noi siamo con lei, punto. Shia LaBeouf impersona la dose della schiatta Trump introiettando la lezione di Francesco Mandelli ne “i Soliti Idioti”. John Voight e Dustin Hoffman paiono un poco spaesati, ma se all’uno la mira gli è rimasta buona, l’altro pare ancora sul set di Donato Carrisi. Laurence Fishburne abbozza bene, Jason Schwartzman passeggia sullo sfondo, e Talia Shire, Kathryn Hunter, Grace VanderWaal, Balthazar Getty, James Remar e D.B. Sweeney completano bene il cast.

 


Fotografia e musiche dei sodali coppoliani degli utlimi 15 anni (Youth Without Youth, Tetro, Twixt), rispettivamente Mihai Malaimare Jr. (“the Master”) e Osvaldo Golijov (“the Man Who Cried”) e montaggio tripartito (nel bene, ma che non è riuscito a rendere fluida/uniforme la sceneggiatura, e nel male, ma che ha reso il film così celentanesco) di Cam McLauchlin (neo-coppoliano e già in quota Del Toro: “Crimson Peak”, “the Shape of Water”, “Nightmare Alley”), Glen Scantlebury (con Coppola da “the Godfather - Part III” e poi in “Bram Stoker’s Dracula” e “Twixt”, più il director’s cut di “Cotton Club”) e Robert Schafer (con Coppola da Twixt” e poi per i director’s cut di “Cotton Club” e “the Godfather - Part III”): e d’altronde Walter Murch ha più di 80 anni - comunque quasi un lustro in meno di Coppola, che ha un anno in meno di Celentano - ed è in pensione da “Tomorrowland” (altro film sbagliato/megalopolisiano!, by Brad Bird) e “Coup 53”.

 

          (A2 → B1) Continuity...

          ...error (B2 → C1).

 

E, dedicato ad Eleanor Coppola, “Megalopolis: a Fable” (un film che in parte esisteva già quando chi scrive non era manco nato) è per l’appunto l’“Adrian” di Francis Frod Coppola: “Yuppi Du”, “Geppo il Folle”, “Joan Lui - Ma un Giorno nel Paese Arrivo Io di Lunedì”, "Francesco".

 

 
“Sberleffo” (anche qui, sempre che sia tale, voluto o incidentale?) finale con l’iris-shot che si chiude su Sunny Hope (che apparentemente s’è appropriata inconsapevolmente dei poteri dei suoi genitori) nelle vesti (e pannolini) del McNulty di “A Kind of a Stopwatch”, il 4° ep. della 5ª stag. di “the Twilight Zone”, poi ripreso da “Stop the World, I Want to Goof Off”, il 3° segmento di “Treehouse of Horror XIV ”, il 1° ep. della 15ª stag. di “the Simpsons”.

 


* * * (¼) ½ (¾)  

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