Regia di Francis Ford Coppola vedi scheda film
Per affrontare "Megalopolis" di Francis Ford Coppola è meglio prepararsi in anticipo misurandosi con gli ultimi anni della Repubblica di Roma. Anni parecchio tumultuosi, corrotti e violenti in cui la politica ebbe un ruolo centrale nello sgretolare le antiche istituzioni dell'Urbe e preparare il terreno all'assolutismo di Gaio Giulio Cesare e dell'Impero di Ottaviano Augusto.
È opportuno consultare un libro di storia se non si ha una memoria di ferro e ripassare le biografie dei protagonisti di quelle antiche vicende perché è a loro che Francis Ford Coppola si ispira per raccontare il presente dell'America.
Marco Tullio Cicerone, filoso, politico e avvocato lo conoscono tutti. È sufficiente sapere che "l'homo novus" della Roma repubblicana fu eletto console per l'anno 63 a.C. e che fu fedele sostenitore della Repubblica e delle sue (vecchie) istituzioni. Appoggiato dalle famiglie patrizie era ciò che si può definire un conservatore, nonostante fosse Catilina ad appartenere all'antico patriziato romano.
Lucio Sergio Catilina fu il più famoso dei suoi nemici. Cicerone non lesinò colpi bassi e calunnie per sostenere l'accusa che lo voleva protagonista di una congiura nei confronti di Roma, una sommossa ordita dopo le denuncia di brogli elettorali avvenuta nel 63 a.C., anno in cui Catilina si ripresentò per un seggio in Senato ma fu sconfitto (ancora) in maniera illecita per mano di Lucio Licinio Murena, console per il successivo anno 62. Catilina era appoggiato dalle classi minori e rispetto al suo avversario era populista ed aveva qualche proposito riformatore.
Si narra che Publio Clodio Pulcro fosse sadico ed astuto. Ma forse fu semplicemente bollato dagli avversari che, una volta vincitori, fecero in modo di tramandare il disprezzo per la sua politica vicina alla plebe romana di cui fu tribuno nonostante le origini aristocratiche. Fu alleato di Cicerone nell'eliminazione di Catilina ma subito dopo dallo stesso avvocato fu accusato di corruzione. Le loro posizioni in politica, del resto, erano agli antipodi.
Marco Licinio Crasso, infine, che al tempo delle "Orationes in Catilinam" era l'uomo più ricco del suo tempo, aveva finanziato la campagna elettorale di Giulio Cesare per l'elezione consolare del '59 a.C. stipulando con esso e con Gneo Pompeo Magno il famoso primo Triumvirato.
Non aggiungo altro. Ognuno di voi potrà riconoscere i succitati personaggi nel ricco banchiere interpretato da Jon Voight, nel pusillanime nipote di costui, interpretato da Shia LaBeouf, nel sindaco di New Rome ed, infine, nell'architetto chiamato a rivoluzionare le forme della città.
In questa distopica New York modellata su forme e architetture classiche ci sono gli stessi intrighi di potere che tenevano banco duemila anni fa. La storia si ripete. Il danaro influenza la politica e la politica restituisce, abbondantemente, alle lobby quanto investito. Lo stesso Crasso ottenne da Cesare ingenti benefici, per sé e per la classe equestre a cui apparteneva, dal sostegno elargito in favore di Cesare.
Nel film di Coppola lo scontro tra il sindaco e l'architetto è uno scontro di ideali. Da una parte c'è un politico conservatore interessato a tamponare i bisogni urgenti della popolazione e mantenere allo stesso tempo inalterato lo status quo, dall'altra si riflette nell'animo dell'artista il desiderio di obbedire ad una politica delle riforme molto più radicale e facilmente attaccabile da posizioni estremamente conservatrici.
New Rome è l'America, quella di adesso, quella che avremo fra trent'anni e quella di trent'anni fa che ispirò al regista il progetto "Megalopolis". Sicché si può dire che il film di Francis Ford Coppola è attuale oggi come in passato, ovvero quando nessun produttore si fidò di finanziare un film ambientato in una nuova Roma con un nuovo Cicerone ed un nuovo Catilina a sfidarsi per la conquista del potere a suon di pubbliche orazioni. Come anche i muri sanno il film si è materializzato quando alla fine è evaporata in una nuvola di etanolo l'azienda vinicola del regista finita al banco dei pegni per riscattare il danaro necessario a produrre la ciclopica opera. Quei soldi Coppola non li rivedrà mai più. È inutile girarci intorno. Il web aveva già deciso per lui che il progetto tanto agognato sarebbe stato un fiasco. Troppi pettegolezzi e troppe notizie intorno al film ne hanno decretato la morte prima ancora della presentazione a Cannes dov'era in concorso, già affossato da hater e cassandre varie. Alla luce di tale impietosa perdita di capitali i produttori cinematografici dovranno elaborare nuove strategie di comunicazione per evitare che i film, in futuro, vengano bruciati prima ancora del loro arrivo in sala. Trent'anni fa quando un film arrivava nei teatri era il passaparola a decretarne il successo o la prematura scomparsa. Il pubblico meno preparato, ovvero la massa, subiva più tardi, dopo l'uscita, una qualche forma di influenza sulle proprie scelte. Forse allora "Megalopolis" avrebbe avuto maggior fortuna. Forse.
Il boicottaggio generale del pubblico americano, esercitato ben prima dell'uscita "theatrical" di "Megalopolis", si può e si deve spiegare, per altro, da una nutrita serie di ragioni come l'ignoranza della storia (antica), la complessità dell'approccio alla materia e la concomitante campagna presidenziale che inasprendo gli animi dell'elettorato ha mantenuto a distanza i più agguerriti da un racconto che narra la decadenza della politica e dell'imperialismo economico e militare americano.
Il vecchio Coppola è bravo nel ricreare un passato futuro in cui le vesti, le acconciature, il circo (mediatico) raccontano la fine della Repubblica romana, ma l'inizio è anche piuttosto ostile, bizzarro al limite del ridicolo. I dialoghi davanti al "senato patrizio" sono piuttosto irritanti, un pot-pourri tra vuoto politichese, astruso linguaggio filosofico e tedioso compendio giuridico.
Ci sono brillanti scene visive come la proiezione di braccia imploranti sulle pareti vertiginose dei grattacieli in fiamme.
La giustizia, paralizzata dalle catene dell'imparzialità, abbattuta dalla spada brandita fino a pochi attimi prima, è l'immagine suggestiva del peso della sconfitta di un intero sistema-paese che si è sfaldato dopo gli attentati del 2001, qui evocati dalla caduta di un meteorite. Ma il filo del discorso ogni tanto si perde per cui l'immaginario creato dal regista italo-americano, le suggestioni visive e tutto il resto non riescono a nascondere il disagio di qualche passaggio frettoloso o qualche dimenticanza che lascia pensare ad una sforbiciata generosa per ridurre il già lungo minutaggio. Così il viv-à-vis tra Catilina e Cicerone, in cui il secondo implora il primo di lasciare la figlia, cade nel vuoto mancando di successivi sviluppi. La figlia Giulia rimane nell'orbita dell'amante mentre Ceasar continua a sviluppare i suoi futuristici progetti come se avesse accettato la proposta del sindaco nemico. Una contraddizione che crea perplessità come lasciano piuttosto basiti gli sviluppi relativi alla materia creata da Catilina che sembra sfidare le leggi del tempo e della vita e che interpreto quali segni di un lascito artistico e ideale senza tempo e rinascita costante delle idee progressiste brutalizzate da un frammento di storia.
Altre sottotrame del racconto vengono abbandonate troppo velocemente o vengono estremamente sintetizzate, come il ruolo appena abbozzato di Nush Berman o quello del ricco Hamilton Crasso di cui Coppola poteva sviluppare maggiormente gli "accordi" economici alla base della politica della Nuova Roma. Infine, a mio avviso, è stato un peccato ridurre Clodio ad una macchietta quando lo stesso Coppola nelle interviste concesse ha ammesso la volontà di rendere più stratificata l'immagine bidimensionale di Catilina e Cicerone consegnata alla storia. S'è dimenticato di Clodio o forse la sua delirante persona era necessaria a rappresentare la politica ultra populista di Donald Trump? Fosse questo il motivo la capacità di pel di carota di incendiare gli animali dei perdenti si tramuterebbe ben presto in una sconfitta altrettanto scioccante ed in una rivolta dell'elettorato contro di lui che non lascia spazio all'interpretazione. Non sono convinto che sarà questo il futuro prossimo degli Stati Uniti e del ricco tycoon e non sono convinto nemmeno dal compromesso finale tra i poli opposti della politica che si stringono attorno al progetto Megalopolis. Così dovrebbe essere ma non credo ci siano le premesse perché il finale morbido e ottimistico del film possa divenire concreto in una realtà tanto polarizzata come quella americana.
Coppola spera che le forze parlamentari si uniscano attorno al bene comune del paese, un paese in cui lo slogan che va per la maggiore è "Made America Great Again" stampato su cappellini e magliette. Contrariamente a Coppola vedo un finale meno conciliante, una bolla pronta a scoppiare per le onde d'urto causate da guerre, crisi economiche, distruzione dell'habitat naturale. La caduta della civiltà americana, e di quella umana, tout court, è una possibilità che annienterà prima o poi il modello americano ed i pilastri economici, morali e politici su cui lo stesso si basa.
Mi aspettavo forse una visione più critica ed intransigente da Coppola e nonostante non sia stato così "Megalopolis" va comunque visto, sviscerato e preso ad esempio per un cinema meno banale di quello che le piattaforme ci servono.
Charlie Chaplin Cinemas - Arzignano (VI)
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta