Regia di Francis Ford Coppola vedi scheda film
Dopo tanta attesa per il ritorno al cinema di Francis Ford Coppola a tredici anni da Twixt, arriva finalmente in Italia, dopo la presentazione a Cannes e l’apertura di Alice nella città alla Festa del Cinema di Roma, l’ultima, magniloquente (imperscrutabile?) fatica cinematografica di uno dei grandi anticonformisti della vecchia Hollywood, un progetto da 120 milioni di dollari sognato per moltissimo tempo, annunciato e avviato, poi interrotto e, finalmente, completato grazie a un ingente investimento personale, auto-finanziato con la vendita della propria azienda vinicola in California.
Un salto nel vuoto?
Una fantasia o, piuttosto, una fiaba, come dice lui stesso (con tanto di specifico cartello ad inizio film ad avvertire il pubblico di quanto agli stia per accadere), in cui l’antica Roma imperiale si sovrappone, mescolandosi, all’attuale impero americano e con New York, e i suoi monumenti spesso incorniciate da antiche colonne greco/romane, trasformata in New Rome e a simbolo/capitale dell’egemonia americana, per un racconto semiotico in cui, egoisticamente, la rifondazione dell’America dalle sue macerie salverà per estensione anche il resto dell’umanità intera (il millenarismo americano, infatti, impera anche qui).
Demiurgo di un sogno lungo (un giorno) un’intera vita, Coppola coltiva convulsamente l’ossessione che lo tormenta da anni realizzando uno spericolato azzardo il cui aspetto più evidente, e probabilmente il principale motivo di delusione per molti, è la sua effervescenza visiva, spesso eccessiva, senza freni, artificiosa e colorata che travalica spesso i limiti del kitsch o del ridicolo (in)volontario.
Un film folle e delirante animato da quella stessa megalomania (nomen omen) che non ha mai davvero abbandonato Coppola per tutta la sua carriera, condannato a realizzare sempre e soltanto capolavori. O dei disastri, a secondo dei punti di vista.
“È quando la gente smette di crederci che l’impero comincia a crollare”
Con Megalopolis Coppola firma il suo definitivo (anche autolesionista?) testamento e, al contempo, un viaggio allucinato nelle ossessioni di un artista che oscilla, anche irrispettosamente, dal kitsch più sfrenato al trash più duro e puro per uno “scult” d’autore che non è, decisamente, per tutti i gusti.
Non siamo di fronte a una storia lineare, un racconto coerente e/o pulito e a una recitazione misurata, tutt’altro, e questo comporta per il pubblico anche una certa sospensione (annullamento?) del nostro senso di incredulità e, soprattutto, la negazione della nostra indefessa propensione a processare, spesso in negativo, qualsiasi cosa.
Si può però sicuramente affermare che Megalopolis sia comunque un’esperienza eccezionale, nel senso di fuori dall’ordinario, ma non necessariamente che sia anche un’esperienza positiva.
Si può inoltre affermare che Megalopolis sia una specie di Metropolis 2.0, con una trama e direttive diversa ma un approccio piuttosto simile al sogno (o incubo) del nostro imminente futuro. Simile è anche poi il concetto di architettura come modello non solo strutturale ma anche di convenienza politica e sociale, con la società che viene influenzata da come viviamo e da come ci integriamo con la realtà che ci costruiamo noi stessi.
Il protagonista del film infatti è un architetto visionario (dietro cui si nasconde lo stesso regista/demiurgo con le sue visioni, le sue ambizioni e i suoi fallimenti), futurista ed ecologista, il cui nome è sia Cesare che Catilina, ovvero sia il despota che il congiurato, il distruttore e il costruttore di un nuovo ordine, che grazie al Megalon, un costrutto di sua invenzione (l’A.I.?), costruisce la città del futuro (la Megalopoli del titolo) proprio sulle rovine della vecchia New Rome, distruggendone le antiche vestigie (anche ideologiche e politiche) a colpi di dinamite o approfittando di parte della città distrutta dallo schianto di un satellite sovietico finito fuori rotta (se vabbè).
"Mi sembrava che quell'ultimo bicchiere avesse un gusto un pò strano!"
La recitazione, in tutto questo, è decisamente sopra le righe, come in una farsa ma anche come in certe opere teatrali di stampo sperimentale o di un certo cinema indipendente, e comprende una schiera di attori che, insieme ai protagonisti Adam Driver e Nathalie Emmanuel, si prestano ben volentieri alle volontà del regista, e che comprende Giancarlo Esposito, Shia LaBeouf, Aubrey Plaza, Jon Voight, Grace VanderWaal, Laurence Fishburne, Chloe Fineman, Jason Schwartzman, Talia Shire, James Remar, Kathryn Hunter e Dustin Hoffman.
Megalon. For All - Una creazione millenarista di Cesar Catilina. Pubblicità progresso ad opera di Francis F. Coppola
Megalopolis rappresenta quindi la realizzazione di un sogno coltivato in oltre 50 anni ma come l’utopia rappresentata nella pellicola rischia di trasformarsi in distopia anche il sogno può facilmente trasformarsi in un incubo e così la pellicola, nonostante un tono scanzonato e, a volte, ridicolo che (volontariamente?) degenere in un trip visionario, è in realtà il delirio di un genio ottantenne che vuole essere, nel bene e (soprattutto?) nel male, unico padrone del proprio destino.
Metropolis condensa un forte sentimento sul tempo a propria disposizione, sempre meno e che corre via sempre più velocemente, e un desiderio di realizzarsi che (purtroppo?) non si esaurisce con l’invecchiare ma che, anzi, si traduce in un impeto e una furia creativa, non sempre controllabile, che si fa sempre più pressante.
Da qui il (super)potere dell’Architetto/regista di poter fermare il tempo, arteficio che è estremamente legato al concetto stesso di cinema, capace di preservare per sempre l’arte e le emozioni “freezando” il presente e conservandolo per le generazioni future.
"Una volta ancora alla breccia, amici miei, anche una volta.."
Ma in quanto regista di un’altra epoca si avverte soprattutto nell’ambiguità della sua politica, in parte fortemente anacronistica, e nella celebrazione di un capitalismo illuminato, capace di opporsi al lerciume di una classe politica populista e corrotta, ma capitanato dall’Artista (con la A maiuscola) che guida il popolo in un futuro nuovo e, finalmente, libero.
Al contempo Megalopolis, con la sua retorica sull’Impero Romano e sui deliri totalitari, è anche un monito sul possibile ripetersi di certe scene storiche e su certi populismi ideologici, a sinistra come a destra, che inevitabilmente portano alla violenza e allo safscio della società cosiddetta civile.
“Se la storia insegnasse davvero qualcosa.. non ci sarebbe più storia.”
VOTO: 6
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