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Megalopolis

Regia di Francis Ford Coppola vedi scheda film

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La recensione su Megalopolis

di LAMPUR
4 stelle

locandina

Megalopolis (2024): locandina

Non è solo la cifra immensa sbandierata ai quattro venti - e le difficoltà affrontate da Coppola per questa sua creatura, rimettendoci anche di tasca propria - a farmi attendere  impatto e potenze visive che invece fanno estrema fatica ad emergere;
ma anche le soluzioni digitali elementari e le architetture urbane futuristiche alla Star Trek, con le automobiline  a bolla e i tapis roulant, una visione basica versione  Legoland e che riesce a rivalutare anche certe scenografie del lanthimosiano Povere Creature.

Non è solo la New Rome modellata sull’onda dall’attuale bolla americana scimmiottante la decadenza della Roma di fine Impero, con pretoriani corrotti e viziosi, i loro nomi a richiamarne l’epoca di panem et circenses, e la plebe costantemente a sbirciare da dietro una rete metallica;
ma anche la trama déjà vu, orpello alla grandezza posticcia sullo sfondo dell’allegoria tra opulenza e bassifondi da aizzare al proprio servizio, come tenta per l’intero film il garrulo Commodo/Trump/LeBoeuf.

Il palazzo che viene fatto crollare all’inizio è una ridicola casa popolare che avrebbe sfigurato anche nella più degradata periferia romana, lontanissima dalla città che una sonda spaziale - guarda caso targata CCCP - dovrebbe radere al suolo per permettere a Megalopolis di disegnarsi utopica e rivoluzionaria, tra il fantasy e la new age stile Roger Dean, che da una vita celebra il futuro attraverso le mirabolanti copertine degli Yes.

Non è solo l’America messa su da Coppola che strizza l’occhio a città crepuscolari viste e riviste, citando tutto il citabile, da Fellini a Scorsese, da Nolan a Cuaron, da Spielberg a Scott;
ma anche il narrare una favoletta dalle limitatissime pretese (forse buona parte del budget era per convincere Dustin Hoffman in quel suo insulso cameo), senza poi farti  testare nessuna inedita concezione, o un approccio davvero innovativo; si ricalcano richiami spremuti, dal pruriginoso al kitsch, e poi il consueto campionario di gelosie, canzoncine, invidie, scaramucce e cotillons,  passando dall’ormai obbligatorio lato LGBT.

Non è solo l’abusato tormentone del bel tormentato, architetto geniale che ha facoltà di fermare il Tempo creando (e ricreando) materia con la plastilina magica Megalon, fino ad innamorarsi della figlia del sindaco in bilico tra amore paterno e ardori passionali;
ma anche tutto il calderone dove gli stessi protagonisti sembrano finire spaesati recitando come automi e macchiette (Jon Voight tanto per dire, zio magnate di Catilina e futuro sovvenzionatore dei suoi rampanti ghirigori edilizi) ingoiati dalle sottotrame spesso in maldestro incastro.

Sarò un nostalgico, come Cicero, il sindaco conservatore che, almeno inizialmente, osteggia Catilina, ma rimango legato alla vera, autentica, e ancora “rivoluzionaria rivoluzione” coppoliana,  quella di Apocalypse Now, altro spessore: visivo, narrativo, emotivo.

Non è solo questa New Rome confusionaria, con l’utopia  giusto accennata tra alcool, droghe e intarsi onirici, ma anche la troppa carne al fuoco senza focalizzare ne’ storia e meno ancora i caratteri di personaggi a rasentare il fumetto.
Del resto anche il superpotere di Adam Driver ne evidenzia questa essenza visionaria e cartoonistica, ritagliandosi prologo ed epilogo ad effetto, fino ai tarallucci e vino del finale dove, tra le altre ovvietà, non solo Speranza, Pace, Giustizia e Prosperità ma anche, e per l’ennesima volta, Shakespeare nel suo massimo evergreen, sempre utile in tutte le epoche ed evidentemente in tutti i futuri auspicabili..

Menzionerei comunque tra i comprimari, oltre Shia LeBeouf in veste, diciamo pure, eccentrica, la nostra immarcescibile Elsa Fornero, per l’occasione moglie del sindaco cattivo, senza tuttavia apparenti crediti nei titoli di coda.
La fotografia tenta con qualche garbo di rendere tutto impalpabile, mai come la colonna sonora però, impalpabile davvero.

Mi sa che stavolta Coppola ha dilapidato davvero, in una botta sola, tutti i sospesi raccattati dal garzone di bottega per conto del droghiere.. (cit. all’apparenza generica, ma neanche troppo).

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