Regia di Francis Ford Coppola vedi scheda film
Volendo tradurre "Megas" dal greco antico, si ottiene "Grande". Un concetto da non intendersi in senso puramente "fisico", quanto concettuale. Lo si associa negli scritti antichi, ad una persona con una una peiculiare visione, pensiero o idea, fuori da ogni ordinarietà. Francis Ford Coppola, nell'ultimo quarantennio quando ha potuto, ha scelto sempre di portare avanti una costante ricerca per la sperimentazione tecnico-visiva, all'insegna della sgretolazione della componente narrativa, per innalzare il senso della grandezza a nuove vette della settima arte.
"Megalopolis" (2024), racchiude in sè la progettualità fuori scala di certe follie produttive a cavallo degli anni 20' e 30', disastrose ai botteghini, narrativamente sghembe, forse demodè nello stile dal punto di vista odierno, ma con una indubbia visione rivolta al futuro.
L'ultima fatica di Coppola, è plasmata con la materia con cui sono fatti i sogni. Si chiama "Megalon", il nuovo materiale da costruzione inventato dal geniale architetto Cesar Catilina (Adam Driver), che attraverso esso, vorrebbe edificare sulla decadente "New Rome", a favore dell'aveneristica "Megalopolis". Questa rappresenterebbe una rivoluzione urbanistica, dove i luoghi importanti, diventerebbero raggiungibili in cinque minuti.
Tale creazione sembrerebbe rendere il nuovo complesso cittadino, molto più democratico. Eppure la politica si compie attraverso la costruzione di spazi, che racchiudono nuove conflittualità, tra una classe la classe dirigente.
Non patrizi contro plebei - queste sono mere pedine sullo sfondo ad uno a consumo dei primi -, quanto patrizi contro altri patrizi, parafasandro l'antica Roma; La fazione degli "optimates" contro quella dei "populares". Quest'ultima assai più numerosa, quindi percorsa da vari sobillatori come Catilina, Cesare (il protagonista porta entrambi nel nome) e Clodio (autore di atti di sovversione tramite le proprie bande armate), venendo contrastati direttamente dal noto oratore Cicerone.
Catilina non si muove in questo pantano, e nemmeno attraverso la vasta ramificazione dell'interconnessione terrena. La sua dimensione è l'iperuranio teorizzato da Platone. Quel mondo di pure idee, che non appartiene alla realtà fisica. Non è un caso, che i luoghi prediletti dal geniale architetto, siano le impalcature sospese, edifici dalle decine di piani, fino ad arrivare ai tetti dei palazzi slanciati ad altezze veritiginose, contemplando quelle "idee" inaccessibili ai non artisti.
Il potere di poter fermare il tempo da parte di Catilina, diviene l'artifizio su cui imbastire la creazione artistica, diventando un novello "Cronos", alla ricerca del "nuovo sogno americano". Realizzazione divenuta impossibile a causa di fazione politiche, detenttrici del vero potere, oltre la politica; cioè il governo del denaro. Dietro il paravento di valori rispettabili e adesione al "mos maiorum", ogni fazione porta avanti la propria agenda personale, dividendo sè stessa nelle varie rappresentazioni del potere, attraverso una concezione quadripartita pasoliniana.
Chi per il tramite della tramite della proprietà di enormi conglomerati finanziari, su tutto il ricco Crasso (Jon Voight), altri tramite la sessualità esibita sfacciatamente sulla scia di Wow Platinum (Aubrey Plaza), oppure andando all'opposto nella religiosità ostentata del reverendo ed infine, coloro che fanno appello ai più bassi istinti del popolo, come il cugino del protagonista, Clodio Pulcher (Shia LaBeuf), un' allegoria neanche troppo mascherata di Donald Trump.
Per comprendere le persone, bisogna cercare di capire il divino come diceva Fichte, in quanto proiezione mentale dei costrutti umani. Un uomo-Dio, che fa dialogare costantemente analogico e digitale, arrivando a coinvolgere il pubblico stesso in un'intervista in prima persona all'architetto stesso - esperienza per ora goduta solo a Cannes -.
Il sostrato multiforme delle immagini, viene in tale modo plasmato e riplasmato, all'insegna di una strabordanza estetica, nel varcare nuove frontiere, di una ipertrofia visiva, capace di sconfinare abbondantemente nei territori del kitsch.
Un cinema di primo impatto respingente e forse fortemente anti-democratico. Il popolo viene costantemente tenuto sullo sfondo e visto dal regista, come animale rozzo e violento, soggetto alle belle parole dell'imbonitore di turno; poco importa che siano le grettezze morali di Clodio o la visione immateriale di Catilina.
Non deve stupire il rifiuto del pubblico, nei confronti di una tale opera, perchè sono immagini in divenire, proiezioni di una grandezza non realizzata ancora. Si rifiuta decisamente la dimensione del presente, partendo dal passato - la moglie defunta di Catilina (ma pure del regista, vista la dedica finale) e la fu "New Hollywood" per Coppola - e andare al futuro, trascinati dal fuoco dell'arte.
Pura metafisica, in cui Platone con la sua "Repubblica" trova maggiore riscontro, rispetto alla concezione di Aristotele di "filosofia prima" inscindibile dalla fisica dei corpi stessa. Ne esce un'opera sbilenca e sfilacciata. Le storyline sono subordinate ad un'idea prettamente sensoriale, invece di cercare un rapporto di causa-effetto.
La verbosità asfissiante della prima parte - ma di indubbio fascino, in quanto i primi trenta minuti, sono tra le cose meglio concepite da Coppola -, lascia spazio ad una seconda, sempre più tendente ad un concettualizzazione astratta, tra stilizzazioni di artifizi tecnici e di montaggio, atti a mostrare il grande amore del regista, nei confronti dell'eternità, che solo il cinema risulta in grado di regalare.
I detrattori non mancheranno di schierarsi nel plotone di esecuzione, lanciando invettive contro Coppola, come gli stessi plebei nel film. Non sarebbero nel torto, ma prima di sparare, bisognerebbe vedere chi stia armando la mano, per compiere tale gesto; noi stessi o un contro-potere politico-cinematografico, che in quanto tale vuole il fallimento di un simile progetto - e pare esservi riuscito -.
Cercando troppo ossessivamente alte vette, si finisce per distaccarsi dalla realtà. In questo errore (voluto?), pare essere incappato un cineasta cosciente, come la risposta nel ginepraio di riferimenti e citazioni all'antica Grecia e sopratutto all'antica Roma, sia da ricercarsi nella pragmaticità dell'agire concreto contenuta all'interno delle elaborazioni stoiche dei "Pensieri" di Marco Aurelio, l'imperatore filosofo.
Solo questo, potrà consentire alla declinante america contemporanea, di seguire il nefasto destino dell'agonizzante repubblica romana, trasformatasi nella regressiva istituzione imperiale, per tacito consenso universale di tutti. Quanto poi la libertà teorizzata da Cicerone/Frank Cicerone (Giancarlo Esposito) sia autentica, se ne può discutere e ridiscutere come ennesima contraddizione, visto che il tutto era gestito ieri come oggi, da una ristretta oligarchia senatoria.
Infondo l'ottantacinque Coppola, è consapevole di aver girato un'opera ardita, sfuggente e con molto di sè stesso. Tanto è un'utopia favolistica, a cui poco importa essere bella o brutta. Ma con ben presente una sua chiara matrice morale, sulla scia delle opere storiografiche di Sallustio. Probabilmente sarà l'ultima pellicola del cineasta, che vedremo sul grande schermo, in una titanica baccanale sensoriale-estetica, mentre si esibisce nel suo giro di valzer finale, prima di estinguersi per l'implosione catastrofica di essa.
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