Regia di Francis Ford Coppola vedi scheda film
"Megalopolis" si presenta agli occhi dello spettatore del 2024 come un'operazione ardita e contraddittoria, un film inseguito dal suo regista per circa quaranta anni e infine realizzato, in gran parte con capitali propri, ma destinato a dividere pubblico e critica e partito alquanto male per quanto riguarda gli incassi, dunque forse lontano dai gusti del pubblico odierno.
Scrivendone una pur sommaria recensione, non mi sembra interessante riferirne la trama, ma piuttosto fare una riflessione su quanto Coppola sia riuscito davvero a concretizzare un sogno personale che si riallaccia alla sua fase più sperimentale, che include opere come "One from the heart", una favola allegorico/filosofica con un impianto fin troppo elaborato e un'abbondante dose di rimandi storici e letterari, tanto da dare ai protagonisti cognomi come "Cicerone" e "Catilina". L'ossessione di Coppola sembrerebbe quella di un progresso sociale/tecnologico/artistico che possa essere la base di un mondo migliore per i nostri discendenti, ma la sceneggiatura mi sembra che esprima questa sua visione in una maniera al tempo stesso suggestiva e kitsch, mettendo fin troppa carne al fuoco, con dialoghi a tratti fin troppo surreali e ameni che non possono non cedere alla tentazione della maniera, una storyline volutamente eccessiva e confusa dove ci sono fin troppi personaggi e alcuni risultano puramente esornativi.
In sede estetica "Megalopolis" risulta un'operazione ibrida, forse al di là di categorie come "bello" e "brutto" e dunque non facile da giudicare: a mio parere la visionarietà scatenata del regista coglie nel segno soprattutto a livello visivo, dove la saturazione cromatica mantiene una cifra stilistica riconoscibile e ancorabile alle opere del passato, qui portata dal direttore della fotografia Mihai Malaimare jr. ad un delirio di forme che, tuttavia, appare omogeneo, coerente con la poetica che informa l'opera stessa, per quanto comunque ipertrofico.
Se, tuttavia, la prima mezz'ora mi aveva fatto sperare in un possibile rinnovo dei fasti dei suoi capolavori anni '70, più ci si avvicina alla conclusione e più vengono al pettine i nodi di una frammentarietà e discontinuità narrativa, ma anche dell'ispirazione, che giocano contro le intenzioni del regista e non giustificano l'entusiasmo della parte di critica che continua a sostenerlo e vorrebbe farlo passare come film degno delle ultime, magistrali prove scorsesiane, indubbiamente superiori quanto a sostanza artistica.
Nel cast Adam Driver rende con buona intensità i dilemmi esistenziali e le ferite di Catilina, anche se forse un attore di maggiore spicco avrebbe aumentato la risonanza di certe scene; fra i caratteristi si segnalano le oneste prestazioni di Giancarlo Esposito e Nathalie Emmanuel come sindaco Cicerone e sua figlia, mentre un po' troppo "over the top" e a rischio di suscitare ilarità sono le caratterizzazioni spinte all'estremo di Aubrey Plaza, Shia La Beouf e Jon Voight, e alcuni cammei come quello di Dustin Hoffman aggiungono poco o nulla.
Venendo al giudizio, direi che il film mantiene intatta l'originalità di una visione ormai testamentaria, sicuramente molto sentita da parte dell'anziano regista, e questo può aiutare a superare l'impatto con le (volute?) dissonanze della scrittura e lo strabordare di frasi ad effetto e citazioni che rischiano di confondere; in ogni caso, sicuramente non uno dei capolavori del Maestro, ma neanche il disastro totale che vorrebbe la parte più rissosa della critica americana.
Voto 7/10
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