Regia di Walter Ruttmann vedi scheda film
Mario, un bersagliere ciclista, congedato dall'esercito e di ritorno a Terni, città sede di acciaierie che danno lavoro ad una moltitudine di cittadini, scopre che Gina, la donna "promessa", ha intrapreso, in sua assenza, una relazione con un altro uomo, Pietro, operaio dell'acciaieria. Per questo motivo, i due uomini si confrontano duramente, ma rimangono vicini, essendo anche Mario impiegato nell'accaieria. Successivamente, Pietro rimane vittima di un incidente sul lavoro, e i sospetti della comunità locale cadono sull'altro uomo. I difensori di Mario, paradossalmente, sono il padre dell'operaio morto e lo stesso Pietro, che, con le sue ultime parole, lo ha scagionato. Nelle sequenze finali del film, Mario si trova a dover fare una scelta. Può entrare nel mondo del ciclismo professionistico, o mantenere il suo posto di lavoro in fabbrica, con la possibilità di riallacciare il rapporto con Gina e sotto la "benedizione" del papà di Pietro, anch'egli impiegato nelle acciaierie. Non è decisamente il mio genere di film; ne ho scelto la visione per curiosità in seguito ad un dialogo con una persona "addetta ai lavori", ed ho trovato molti contenuti, nonostante l'esilità della trama e la breve durata. L'opera sembra contenere un'esaltazione dell'industria e della modernità. Questo aspetto emerge non solo dalla presenza di molte sequenze che documentano le attività all'interno dello stabilimento, le quali illustrano non solo le fasi di produzione dell'acciaio, ma anche della vita in fabbrica, nella quale sono occupate maestranze che esprimono vigore e determinazione, ed una dirigenza competente e comprensiva, unite nel dar vita ad un meccanismo armonico che fa funzionare la "colossale macchina", capace di imbrigliare le dirompenti forze della natura - rappresentate dalle acque costrette nel sistema di chiuse - la cui essenza si pone nettamente in contrasto con l'ambiente circostante, una società agricola chiusa e tradizionalista, che ha sede in un borgo popolato da personaggi segnati dalla vita. Le ultime sequenze mostrano il protagonista, dopo lunghi momenti di indecisione, scegliere di appartenere definitivamente al mondo della fabbrica, abbandonando la vita non meno eroica, ma di certo, con notevoli incognite, dello sportivo / soldato. Le azioni e gli atteggiamenti degli attori, in tali sequenze, esprimono conforto, sicurezza e speranza. Lo struggersi di Gina, lo sguardo compiaciuto del papà di Pietro, l'atteggiamento benevolo del custode rappresentano una composizione di ogni dissidio; ciò nonostante dalle sequenze dell'incidente non sia proprio evidente che Mario non abbia responsabilità nella morte di Pietro. Il regista comunica emozioni e sentimenti dei personaggi indugiando sui loro volti, sugli sguardi; i dialoghi sono ridotti al minimo e non sempre facilmente comprensibili, immagino per ostacoli di carattere tecnico. In particolare, ho apprezzato il "disfacimento" del trucco della donna, nelle sequenze finali del film. Un espediente che ne mette a nudo l'animo, mostrandone la passione, la confusione, il desiderio per Mario. Oltre a Isa Pola, nelle vesti di Gina, mi è piaciuto Piero Pastore, che interpreta Mario, uomo ideale - secondo i canoni dell'epoca, soldato, sportivo e fiero lavoratore - capace di non farsi piegare dalle sventure della vita e prendere le giuste decisioni. Un film che merita la visione tanto per il piglio documentaristico, quanto per la comprensione dello spirito dell'epoca, il quale, però, oggi non può essere esente da critiche. Nell'esaltazione del concetto di fabbrica illustrato nel film, è evidente l'annullamento dell'individualità del singolo, il quale è ridotto a rotella di un ingranaggio, che, per quanto ben realizzato, non potrà mai essere perfetto.
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