Regia di Isabel Coixet vedi scheda film
Il nuovo film di Isabelle Coixet, già in concorso al San Sebastián e ora in concorso alla Festa di Roma, è un bel fritto misto di strategie drammatiche pre-esistenti per affrontare dilemmi politici tramite la vita privata dei suoi protagonisti; uno sguardo intrusivo e ossessionato, sbilanciato ma gustosamente sgradevole, che ricorda tantissime altre cose (As Bestas di Sorogoyen, Men di Garland, Dogville di von Trier) e alla fine non ne ricorda nessuna, come se il miscuglio di riferimenti fosse realmente postmoderno perché non trionfa alcuna narrazione né alcun senso, e l’unico simbolo di catarsi è un cane ermafrodito sporco di sangue. Per quanto si possa leggere il film come una sorta di sistematico accanimento contro la protagonista, è in realtà lei per prima che esce sconfitta da qualsiasi scelta faccia nel suo privato, finendo per divenire inaffidabile persino per se stessa. Tutti gli abitanti del villaggio dove va a stare per lavorare tranquilla le dànno addosso e lei a fatica tiene la testa alta, anche se poi la sua soddisfazione può passare solo da sangue e insulti, non certo da manomissioni strategiche di un qualche status quo. E di lei stessa ci vengono omessi parecchi dettagli, tanto che il film in sé diventa inaffidabile, monco, con il rischioso destino di un’identificazione impossibile. Ma è in realtà la strada giusta per rendere Un amor l’imprevedibile messa in crisi di una donna, e la tragicomica parabola di un mondo di campagna aggressivo e sinistro, demolizione sistemica delle possibilità positive di qualsiasi rapporto umano.
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