Regia di Naoya Fujita vedi scheda film
Lo dice lo stesso regista, Naoya Fujita, alla presentazione al FEFF 26 di Udine: il teatro popolare giapponese è argomento del cinema nipponico fin dall’anteguerra, da Mikio Naruse e dalle Erbe fluttuanti di Yasujiro Ozu in giù. Ne deriva che Confetti sia un film che fa da ponte cronologico, anche programmaticamente: da un lato lui, il giovanissimo Yuki, che cambia scuola una volta al mese perché segue il padre nella sua compagnia teatrale itinerante; e dall’altro lato sempre un lui, Ken, che invece è appassionatissimo di un gruppo di teen idol e non ha troppo interesse nelle forme più classiche della performatività del paese del Sol Levante. Tra i due angoli maschili ci sono altre piccole figure che Naoya Fujita sfoglia a poco a poco come ad aprire un ventaglio, mentre la sintonia fra Yuki e Ken cresce, si contorce, si emoziona, si incrina e poi torna a brillare. Il fatto che Yuki, poi, interpreti ruoli femminili nelle rappresentazioni teatrali (sul modello delle Onnagata di Tamasaburo Bando, per chi bazzica), è un altro piccolo indizio che fa da ponte: il vecchio che legge il nuovo, l’adulta tradizione che indirizza il giovane disorientamento, e una cultura che cambia forma – la danza simil-kabuki su musica J-pop lo spiega perfettamente – ma non spirito. Alla fine si tratta di crescere rompendo il bozzolo, e il modo mai del tutto accomodante e per nulla scoraggiante con cui riesce a raccontarlo Fujita è un modo encomiabile e invidiabile. Perché le incertezze adolescenziali non sono date per scontate, in Confetti (che in giapponese, in realtà, sono i coriandoli), e un piccolo gesto come scambiarsi una ghirlanda può determinare un sorriso che ci scolpiamo dentro per tutta la vita. Opera prima tenerissima che svolge il ruolo di vera sorpresa del FEFF 2024.
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