Regia di Reinaldo Marcus Green vedi scheda film
Biopic sul più noto giamaicano di tutti i tempi (forse a parimerito con Bolt), una leggenda, la stella più luminosa della musica reggae, centrato sugli anni che vanno dal 1976 (alla vigilia del successo planetario di Exodus, poi disco d'oro) alla precocissima morte nel 1981, per via di un melanoma cominciato da un alluce. Il film è un bigino di tutti gli aspetti arcinoti della vita del musicista nato e cresciuto nella poverissima Giamaica, lacerata da una guerra civile, e costretto a riparare a Londra dopo aver subito un attentato. Si procede senza un minimo di inventiva almanaccando tra l'uso continuo di erba, i dreadlocks, la fede assoluta nel rastafarianesimo, la passione per il calcio giocato e quella per le donne (appena accennata: produce il figlio Ziggy…), il messaggio pacifista e l'impegno per la liberazione dell'Africa dai residui del colonialismo. Ancora una volta, il regista Reinaldo Marcus Green tenta la strada del racconto biografico (il precedente era dedicato alle sorelle Williams, regine del tennis), collocandosi su un sottogenere ormai molto di moda (il biopic musicale) che, in anni recentissimi, ha sfornato lavori come Bohemian Rhapsody, Rocketman ed Elvis. E lo fa assemblando pezzi della storia di Marley senza continuità narrativa né mordente, affidandosi a un protagonista (Kingsley Ben-Adir) che si limita a scimmiottare la gestualità dell'autore di brani seminali come Jamming, Buffalo Soldier o Could You Be Loved senza lasciar scorgere la minima traccia dell'enorme carisma del musicista giamaicano. Resta solo la musica a salvare un film su un artista che avrebbe meritato un'opera all'altezza di un capolavoro come Quando l'amore brucia l'anima o, almeno, di Ray.
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