Regia di Kelsey Mann vedi scheda film
Il film Pixar di Pete Docter, oltre a vincere il Premio Oscar nel 2005, è stato uno dei più grandi successi d’animazione della Disney degli ultimi anni, oltre a entrare di diritto tra i favoriti del pubblico ma anche della critica e/o dagli esperti del settore.
È innegabile che l’idea di dare corpo alle emozioni è stata una mossa vincente, una vera novità nel campo dell’animazione supportata da una scrittura capace di dialogare con i piccoli ma anche (e soprattutto) con gli adulti.
Inoltre, a differenza di altri prodotti della Pixar Animation Studios, Inside Out offriva già in partenza l’input a eventuali e possibili sequel, come è appunto successo con Inside Out 2, a distanza di ben 9 anni dall’uscita nei cinema di quel piccolo capolavoro dell’animazione, e con la nuova serie TV sempre basata sul mondo di Inside Out, appena finita di girare e già prossima all’uscita, a premessa fondamentale di una coerenza narrativa, ma anche progettuale, enfatizzata ulteriormente dal ritorno in sceneggiatore dell’autore del precedente capitolo, Meg LeFauve, coadiuvato in questa caso da Dave Holstein e dalla collaborazione di numerosi psicologi che hanno accompagnato il team Pixar in questo nuovo “viaggio mentale”.
Questa volta il buon Docter ritorna invece soltanto come produttore esecutivo mentre trova come degno successore alla regia Kelsey Mann, già sceneggiatore de Il viaggio di Arlo e animatore in Monster University e Onward – Oltre la magia.
Ripetere la magia, e quindi il successo di un progetto “fortunato” come Inside Out non era affatto cosa facile, vuoi per l’originalità del soggetto che viene inevitabilmente a mancare e che, quindi, la pellicola viva anche (soprattutto?) di luce riflessa, o per l’oggettiva difficoltà di gestire, ancora una volta, un concept così astratto come quello alla base del film eppure Inside Out 2 riesce, a tratti, a essere anche migliore del primo fin troppo didascalico film adottando un’analisi della nostra psiche tutt’altro che scontata.
Il mondo precedentemente presentato in Inside Out si amplia mettendo in rilievo sviluppi interessanti e mai banali e presentando sia nuove emozioni (ovvero Ansia, Invidia, Timidezza e Noia) che nuovi luoghi della mente di Riley.
Uno spazio maggiore viene dato al mondo esterno, al campo da hockey e alla struttura stessa del campus, funzionale all’andirivieni tra il reale (la partita e gli allenamenti fino ai rapporti interpersonali tra vecchie e nuove amicizie) e l’io interiore, con nuove emozioni che reagiscono ad ogni evento condizionandone le risposte emotive, in un viaggio ossessivo figlia (soprattutto) dell’ansia di essere sempre all’altezza delle aspettative, personali come anche della società.
Quello della crescita è, in fondo, un tema molto caro alla Pixar e qui viene affrontato in modo insolito rispetto ad altre pellicole e attraverso una sequela di temi fondamentali che ne esplorano la condizione umana con diverse valutazioni dei nostri comportamenti, molti dei quali non siamo in grado di gestire veramente ma che ci permettono di costruirci un personale percorso di accettazione di noi stessi e dei nostri limiti.
Il messaggio è chiaro e ribadisce quanto abbiamo imparato già nel primo capitolo: non ci sono emozioni buone o cattive, ognuna ha un suo ruolo e un proprio valore ed è giusto imparare a conviverci lasciando spazio ad ognuno di esse.
Infatti anche Inside Out 2, come altri seguiti Pixar, soffre purtroppo un po’ dell’eccessiva dipendenza (inevitabile?) dal precedente capitolo, non legata semplicemente al fatto di conoscere già quel mondo e come funziona quanto piuttosto alla sensazione di assistere a dinamiche già precedentemente affrontate perché incredibilmente simili al primo capitolo, ripetendone un po’ furbescamente la stessa meccanica narrativa tanto da sembrare quasi una variante della storia originale e impedendogli di diventare qualcosa di più che un ottimo sequel.
Dal punto di vista tecnico, invece, Inside Out 2 riesce come sempre ad eccellere mentre, invece, la colonna sonora non riesce a essere memorabile come era successo con il primo episodio; Andrea Datzman, che sostituisce Michael Giacchino, insegue strade più canoniche e pop non trovando però sempre la direzione giusta.
Inside Out 2 come il suo progenitore è un film che può essere letto su più livelli e in cui chiunque, sia adolescente che adulto, può ritrovare parte di sé e trarne motivo di riflessione ma è soprattutto un successo clamoroso per Pixar che non può che trasformarsi che un ottimo viatico per il futuro della compagnia Disney, recentemente scossa da qualche insuccesso (involuzione) di troppo.
VOTO: 8
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