Regia di Kelsey Mann vedi scheda film
Sono passati nove anni da “Inside Out” ma la giovanissima Riley è cresciuta solamente di due. Magie del cinema e dell’animazione. La ragazzina del Minnesota è diventata teenager con tutto ciò che ne deriva dal punto di vista emotivo. I legami coltivati da Riley, nei due anni vissuti a San Francisco, sono ora sotto pressione perché a tredici anni le responsabilità a cui è sottoposta una ragazzina sono via via maggiori. Senz’ombra di dubbio il futuro appare incerto ai suoi occhi ed un paio di tiri sbagliati rischiano di essere fatali per il suo complicato avvenire di ragazzina.
Abbandonato l’ambiente domestico e le cure amorevoli dei genitori, principio e causa delle emozioni straripanti scaturite nel primo film a seguito del trasferimento in California della famiglia Andersen, il terreno di gioco si sposta in un camping estivo dove Riley e le sue amiche del cuore partecipano ad un clinic a base di hockey. Un mondo nuovo ed adulto si apre intorno alla ragazzina che assapora le gioie dell’indipendenza e le difficoltà nel gestirla nel modo più appropriato. Nella testolina di Riley, tempestata da ormoni e sensazioni amplificate dalla giovanissima età, si affaccia, nel frattempo, una serie sconosciuta di emozioni che mette caos nell’ordine imposto dall’infanzia.
Il nuovo film Disney-Pixar, sequel del fortunato primo film del 2015, sta mietendo un successo clamoroso in tutto il mondo. Perché?
L’ha trascinato verso il miliardo di dollari la pigrizia del pubblico che sembra a suo agio solamente con sequel e prequel? Forse sì.
È solo questione di mancanza di coraggio dello spettatore medio? O, forse, Disney ha investito in pubblicità e marketing quello che non spese per il precedente “Elemental” condannandolo ad un risultato decisamente inferiore in termini di botteghino? I preventivi attacchi mediatici ridussero l’appeal di “Elemental” mentre il nuovo di Kelsey Mann ne è immune se non addirittura esente? Siamo, dunque, alla mercé dei social media che pianificano il successo (o meglio l’insuccesso) di un film?
Rimanendo su “Elemental”, unico film su cui si può fare un raffronto decoroso, viste le condizioni di uscita di “Onward” e l’indubbia minor qualità di “Lightyear”, non ravviso differenze sostanziali con il nuovo “Inside Out 2”. Anzi, pur riconoscendo in quest’ultimo sforzo di casa Pixar un film meritevole, non trovo elementi innovativi rispetto al capostipite da decretare un successo tanto eclatante. Lo schema narrativo ricalca quello del primo film con le emozioni allo sbando, costrette a risolvere i guai di Riley lontane dalla propria consolle. Caduta negli inferi dell’inconscio e ritorno con Ansia a sostituire Tristezza nel ruolo cardine del racconto. Nemmeno “Elemental” era così originale, una "Zootropolis" degli elementi ad essere onesti, ma aveva il merito di creare un mondo nuovo in cui immergersi e sognare qualcosa di inusuale e alternativo al già visto. C’è da dire, infine, che gli elementi politically correct, che tanta frustrazione hanno creato nel pubblico nei precedenti lavori Pixar non mancano nemmeno nel nuovo film sulle emozioni. Le due amiche di Riley sono l’una afroamericana l’altra asiatica. E nella squadra delle "Firehawk" non mancano un paio di individui che raccontano rispettivamente l’immigrazione musulmana e la comunità LGBTQ+.
Le differenze non fanno più paura? Cos’è cambiato nella percezione del pubblico che non è cambiato nel modo di Disney di affrontare certe tematiche?
Il successo di “Inside Out 2” lo potrà spiegare chi ha una buona risposta a tutte le questioni poste in precedenza. Personalmente ritengo il nuovo lavoro Pixar davvero buono ma non abbastanza da ravvivare la pulsantiera delle mie emozioni, spesso manovrata da "Ennui" e solo a sprazzi da "Gioia" e dagli altri turbolenti sentimenti infantili. I nuovi personaggi dalla storia sono, comunque, molto belli e la scelta di introdurli a seguito “dell’allarme pubertà” è senza dubbio azzeccata. La lezione impartita a "Gioia" è utile quanto meraviglioso è l’albero nuovo della personalità di Riley illuminato da tutte le emozioni. Il passaggio all’adolescenza è raccontato con grazia e meraviglia e con un pizzico di ironia. Adoro "Imbarazzo" ma avrei voluto “Stupore” sin dall’origine della serie. La casa di Topolino è cresciuta con quello dei bambini estasiati dalle prodezze dei propri beniamini. Noi più grandi lo evochiamo di fronte ad ogni nuovo film anche se spesso è una vecchietta cotonata e svampita di nome “Nostalgia” a prendersi gioco di noi e della nostra età. Versione anziana dello stupore a cui mi avvinghio senza "Imbarazzo", con tutta la "Rabbia" di chi, stanco di crescere e amareggiato dal "Disgusto" provato di fronte al vuoto, cerca nel cinema di placare "l'Ansia" della modernità e provare la "Gioia" di una mascella abbandonata alla legge gravitazionale della meraviglia.
Charlie Chaplin Cinemas - Arzignano (VI)
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