Regia di Kelsey Mann vedi scheda film
Non è un teen movie. Non si parla mai davvero di adolescenza: d'altronde è un argomento che non può esaurirsi in unità di luogo (campo scuola a tema hockey) e di tempo (tre giorni) così ristrette.
Si parla, più che altro, dell'inizio dell'adolescenza, ovvero di quelle fasi iniziali, nel passaggio dalle scuole medie alle scuole superiori, che settano nel bene e nel male gli standard di comportamento futuri. Il benessere o il malessere relazionale di quegli anni germinano proprio dal traumatico iniziale riassestamento emotivo, quando un equilibrio faticosamente costruito nei primi 12 anni di vita va incontro ad una ricalibrazione nel momento in cui si diventa teenager.
In quanto film sull'inizio di un cambiamento, Inside Out 2 si pone come riflessione universale su ogni fase iniziale della vita, anche in età adulta. Le emozioni represse perché soggiogate dall'ansia (prestazionale in primis: ecco perché è importante sia uno sport movie, non un teen movie) sono una raffigurazione visivamente splendida di ogni momento di passaggio in ogni epoca della vita.
Un sequel che, anche senza Pete Docter alla regia (qui presente solo come produttore esecutivo), si rivela doveroso, necessario e che prosegue in maniera coerente e naturale un discorso su crescita e maturazione tutt'altro che scontato o banale.
A mancare è quel sentore di novità rivoluzionaria che caratterizzava la visione del capolavoro del 2015 che pure era 'solo' una storia di formazione pura quasi più classicamente disneyana che postmodernamente pixariana. Ma la scelta di costruire l'impianto narrativo sugli archetipi dello sport movie dimostra tutta la freschezza di scrittura, sapiente nell'alternare tonalità comica e tonalità drammatica.
Formalmente, poi, il film non ricerca il pionierismo tecnico. Kelsey Mann e tutta l'art direction non intendono dare allo spettatore il polso dello stato dell'arte dell'animazione, non inseguono sperimentalismi audaci. Al contrario, piegano il tipico fotorealismo della casa di Emeryville ad un tratto giocoso, ludico, ilare, come testimoniano le ibridazioni con l'animazione tradizionale o le raffigurazioni del sarcasmo nella mente di Riley. Una scelta azzeccata e in linea con lo spirito del film che sembra voler ricordarci quanto la vita, nonostante tutto, sia e resti un gioco.
Di squadra.
Come l'hockey.
Si vince e si perde ma lo si fa con le proprie emozioni. Tutte.
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