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Amen

Regia di Andrea Baroni vedi scheda film

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La recensione su Amen

di lamettrie
8 stelle

Ottimo cinema, di stampo psicoanalitico, da parte dell’esordiente Andrea Baroni.

Una scorretta educazione religiosa, che così si sarà verificata in milioni di casi senza affatto esagerare, è il centro della critica. Una critica verista, di spessore.

La prepotenza chiede il dogmatismo. Il dogmatismo spesso si è facilmente appoggiato su tradizioni religiose. La chiusura del pensiero, forzata dall’obbligo di aderire acriticamente a cose che spesso non hanno alcun senso, e/o creano danni anche micidiali, è qui proposta per quel che è.

Con i suoi corollari, pure: la necessità della violenza, mentale e fisica.

Quella fisica, con gli interrogatori a tortura, così caratteristici di gran parte della tradizione cattolica; con i supplizi autoinflitti o supinamente accettati; con le sberle…

Ma anche quella mentale: con l’induzione del sentirsi in colpa, nel peccato, di dover espiare, di esser a priori dalla parte del torto; anche solo ontologicamente, per il fatto di essere umani e dunque peccatori, e peggio ancora nel caso delle donne, in quanto inferiori rispetto all’uomo per la loro maggior propensione al peccato, secondo la teologia cristiana…

La critica a questo genere di approccio alla fede piacerà forse agli amanti di Nietzsche, così come a quelli di Freud l’analisi psicoanalitica. Qui esposta per quel che è, nella sua nuda semplicità: anche qui forse accaduta decine di milioni di volte, approssimando per difetto.

Edipo spadroneggiai: il padre non permette che le figlie non siano sue, cioè soggette al suo controllo assolutizzante e autoritario, soffocante in quanto evidentemente psicopatogeno; ma a sua volta è vittima del dispotismo della madre.

Le figlie sono obbligate a sentirsi in colpa quando sono invase dal piacere, come è inevitabile che sia: inevitabile non certo per il senso di colpa indotto, falso e avvelenante; ma inevitabile per l’inevitabilità dell’attrazione verso il piacere.

Quanto più un piacere è rimosso, tanto più viene cercato: e diventa così un’ossessione. L’oggetto desiderato (qui un ometto insignificante, bruttarello, incapace di spiaccicare una parola) ovviamente viene sopravvalutato: un oggetto del desiderio potente, perfino.

Tanto più potente quanto più la legittima aspirazione alla felicità, che il piacere chiama a sé, è stata coartata da altri, che sono pure autorità (per le figlie il padre lo è), ma cui per troppo tempo si è lasciato modo di abusare di tale autorità, in modo colpevole, passivo e autolesionista.

Il piacere, rimosso, impone la masturbazione. Tema sempre importante, così come la rivalità tra donne, come oggetti del desiderio (che, alla fine, è solo desiderio sessuale): qui rinfocolata per il fatto di essere sorelle, per altro figlie di un padre che impedisce loro una seppur vaga indipendenza sentimentale da lui.

A sua volta, il padre risente della perdita della moglie, la madre delle figlie. Con maestria del soggetto scritto dallo stesso regista, Andrea Baroni, l’ellissi lascia l’interrogativo su tanti nodi cruciali: la madre è morta perché uccisa dal marito? Lo si potrebbe pensare: «è stata punita da Dio», dice il marito, padre delle tre figlie; e la nonna, suocera della defunta, dice di due nipoti su tre «due puttane..,. del resto, ce l’avete nei geni». Ma, con uguale maestria, la sceneggiatura lascerebbe pure pensare che il padre ha ucciso pure le due figlie, che hanno intrattenuto rapporti carnali col medesimo cugino, Primo (non a caso Primo, primo amore della lor vita).

Eccellente la fotografia. Così come le scenografie, in una immobile campagna da Italia degli anni ’70, indietro di almeno 30 anni rispetto alle zone urbane. Dove convivono tradizioni agresti di stampo ancora medievale (la nonna che impartisce la comunione, la confessione…), ma dove non pare essere arrivata davvero un’istruzione pubblica degna di tal nome.

Intelligente la chiusura del cast a sei attori di numero, il che lo rende anche fruibile a teatro – strano caso di soggetto nato per il cinema che funzionerebbe benissimo anche a teatro, anziché il contrario, come di norma accade – .

Meravigliosa la natura, specie per la sua continuità con il desiderio fisico che palpita in queste donne, poco più che adolescenti. Peraltro, nonostante paiano nemmeno ventenni, le due sorelle/rivali per Primo sono interpretate da delle quasi trentenni, come le bravissime Grace Ambrose e Francesca Carrain, che all’epoca del girato avevano rispettivamente 27 e 29 anni.

Ma eccellono anche la nonna Paola Sambo e suo figlio Luigi Di Fiore, il quale nella realtà ha solo due anni meno della madre (60 anziché 62), ma in un rapporto del tutto credibile. In cui Di Fiore recita perfettamente la parte del padre possessivo, geloso, violento, tormentato dai sensi di colpa. Un cristiano sincero, ma che ha anche tratti che spesso un cristiano purtroppo ha incarnato, storicamente parlando: represso, cattivo, manesco, omicida (?); uno psicopatico doc.  

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