Regia di Alain Parroni vedi scheda film
Solito film sulle periferie romane con personaggi privi di interesse, soliti dialoghi incomprensibili, solito look furbetto, solita storiella di miserie quotidiane che, in questo caso, gira particolarmente a vuoto.
Qualche produttore ritiene che raccontare il ciondolare estivo di tre misere esistenze sia interessante. I personaggi di "Una Sconfinata Domenica" (rimando al susseguirsi di giorni inutili e tutti uguali dei tre protagonisti) sono sì poveri, e in qualche modo emarginati dalla civiltà borghese "perbene", ma sono anche dei mentecatti completi. All'epoca di "Accattone" non c'erano i cellulari e l'accesso all'informazione era pressoché pari a zero ma questi tre ragazzi sembrano gli stessi delle periferie ritratte negli anni sessanta. Il vuoto e il degrado dell'ambiente nel quale vivono sono lo specchio del loro deserto mentale. Anche se non viene esplicitato, l'interesse nel seguire le loro misere vicissitudini dovrebbe essere dato dalla loro supposta vitalità giovanile, che li porta a compiere una cazzata dietro l'altra. Non c'è nessun presupposto filosofico e/o intellettuale (Pasolini, Bertolucci & co.) in questo film ma solo il vuoto di una forma cinematografica fine a se stessa: immagini estetizzanti che richiamano un immaginario da instagram (la veduta dal basso del cavalcavia con le nuvolette bianche) e che dovrebbero far digerire alla gente due ore di nulla. Un montaggio furbo che dovrebbe svelare un qualche talento autoriale ma che è solo mutuato dal mondo dei videoclip e della pubblicità (cioè i veri referenti di quest'opera anemica, e basta guardarsi un qualsiasi videoclip del menga diretto da perfetti nessuno per rendersene conto). Le pur notevoli musiche ammantano la visione di profondità poetica e bellezza ma, di fatto, è solo una facciata di cartone, panna montata spruzzata su un dolce privo di gusto. L'iperrealismo delle interpretazioni è puro voyeurismo ipocrita (come ipocrita è l'inquadratura sulla mano del ragazzo più giovane che, a un certo punto, lancia un sasso dal cavalcavia come se niente fosse, un'inquadratura messa lì per legittimare il film come pamphlet sociale, in contraddizione con i presupposti originali). E anche la costruzione narrativa è debole perché, se è vero che il crescendo finale di tensione, prevedibile, un po' funziona, alla fine risulta inconsistente (perché inconsistenti sono i personaggi, in primis) e artificioso. La controprova è che, al contrario che in Pasolini, della tragedia finale non ci importa nulla.
In poche parole: questo cinema può affascinare solo il borghese benpensante a corto di cultura audiovisiva e pieno di preconcetti, quello che nel film resta seduto in auto mentre fuori sta succedendo qualcosa di brutto. L'assenza di premi rilevanti lasciano sperare che le giurie di "addetti ai lavori" non si siano fatte abbindolare.
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