Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
E' un film un po' cupo e freddo, su rapporti umani ugualmente tali. Del resto da Bergman - che forse è una specie di Antonioni svedese - è difficile aspettarsi qualcosa di diverso.
Non mi pare tuttavia che il regista prenda di mira l'egoismo maschile; anzi, qui sia uomini che donne sono ugualmente interiormente poveri, meschini, e piuttosto egoisti.
Il regista sembra avere una specie di tiepida compassione per i suoi personaggi e il disastro delle loro vite. Tuttavia la famiglia del ricco uomo alle soglie della vecchiaia è dipinta con vera cattiveria, e senza la minima pietà: la moglie pazza rinchiusa in manicomio, la figlia alcolizzata e scialacquatrice, il padre oppresso dalla solitudine, e il gelo affettivo che regna tra tutti e tre. Anzi, la magnificienza della casa e il benessere economico sono il contraltare della rovina umana che essa racchiude.
Alla fine c'è un misero zuccherino che stempera un po' l'amarezza, ma è proprio poca cosa. In generale, il ritratto della società svedese dell'epoca è forse solo un tantino troppo pessimista, ma non più di così. Il regista scandinavo non credeva all'amore tra uomo e donna, né probabilmente all'amore in generale. Tuttavia non smise mai di interrogarsi su di esso, quasi non se la sentisse fino in fondo di accettare la sua certezza. Secondo me l'origine del suo scetticismo sull'amore è da ricercarsi nella gelida ed arida educazione che ricevette da suo padre, dove certamente l'amore non c'era.
Tornando al film, non appartiene ai capolavori di Bergman, e forse ha anche qualche diffettuccio. Però ha pur sempre la sua dignità ed è scorrevole.
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