Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Un bel film del 1955, pieno di dialoghi interessanti sulla problematicità dei rapporti umani, come questo: “Noi donne siamo brave a vestire di abiti romantici i nostri interessi”, dice una donna. Si dice che il regista conoscesse bene le donne e mi chiedo quali fossero le conclusioni a cui era arrivato alla soglia dei quarant’anni, dopo due mogli e cinque figli, quando girò questo film, il quindicesimo, che è pieno di riferimenti autobiografici: la madre, che vede gli altri con la testa di lupo, ricorda la madre del regista, che visse in manicomio e il personaggio dell’anziano, incapace di creare un rapporto positivo con la figlia, è un chiaro riferimento al padre, pastore luterano, molto duro con i suoi figli. Il tema di questo film è quello, caro al regista, dell’uomo e della donna che, per sfuggire la propria solitudine, sognano un rapporto di coppia, che però inevitabilmente finisce per trasformarsi in una solitudine a due. Nel fallimento, la donna appare più a suo agio, sembra mantenere una sua dignità: è forse più preparata. L’uomo vi appare invece sgomento, impreparato e visibilmente più sofferente. Per la donna sembra più una delusione, per l’uomo un fallimento esistenziale.
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