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So che mi ucciderai

Regia di David Miller vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su So che mi ucciderai

di fixer
8 stelle

La Kinos (Ermitage) sta facendo un ottimo lavoro: sta infatti immettendo sul mercato dell’Home Video DVD dei titoli ormai scomparsi e introvabili. Si tratta di pellicole degli anni ’30, ’40 e ’50 di qualità che ormai si disperava di potere rivedere.
Uno di questi film è SO CHE MI UCCIDERAI (Sudden Fear) di David Miller (1952).E’ un thriller abbastanza convenzionale nella sua trama: una ricca sceneggiatrice, Myra Hudson (Joan Crawford) sposa un attore, Lester Blaine (Jack Palance) che aveva in un primo tempo “bocciato” durante le prove in teatro di un suo dramma. Ella se ne innamora perdutamente, ma Blaine in realtà è d’accordo con la sua amante per assassinarla ed ereditare i suoi beni. Finisce nel migliore dei modi, come al solito.
Il film si fa apprezzare per la straordinaria interpretazione della protagonista, Joan Crawford. Questa grande attrice, nel 1943 era passata dalla dorata MGM alla Warner Brothers e si era reinventata una nuova carriera, con il successo di IL ROMANZO DI MILDRED (1945) di Michael Curtiz. Poi, le sue interpretazioni cominciarono ad avere delle oscillazioni. Stava per entrare in una fase declinante in cui sono più i passi falsi di quelli indovinati. Dopo i successi di ANIME IN DELIRIO (1947) e di PERDUTAMENTE (1946), si ricorda una grande interpretazione nel film culto JOHNNY GUITAR di Nicholas Ray(1954). Ormai il peso degli anni si nota: i suoi tratti si sono induriti. Le sue grandi sopracciglia, un tempo così ben mascherate alla MGM, ora deformano un po’ il suo volto, segnato anche dagli zigomi sempre più sporgenti e da occhi esageratamente sbarrati. Ma, se mai ce ne fosse stato bisogno, in questo film, Joan conferma il suo immenso talento rafforzando la fama che si era andata conquistando poco a poco, da sola, partendo da semplice ballerina a grande star. Nel 1952, anno di uscita del film, Joan doveva affrontare una fase difficile per la sua carriera. I suoi ruoli più recenti l’avevano un po’ confinata in parti in cui elle era una donna malvagia o criminale e questo stava nocendo non poco alla sua carriera. Ella aveva imposto a Jack Warner di poter scegliere i copioni che le sottomettevano (cosa che alla MGM era impossibile), ma nonostante ciò, i ruoli decenti erano sempre meno e poco appetibili. Scelse quindi di chiedere lo scioglimento del contratto e di lavorare come indipendente, in modo da poter scegliere tra una gamma più ampia di soggetti. Certo era un passo rischioso: poteva essere il suo definitivo tramonto. Ma alla fine, la scelta si dimostrò azzeccata. Già dal primo film, appunto SO CHE MI UCCIDERAI, Joan riuscì a dare il meglio di sé in un ruolo che rompeva la scia di personaggi odiosi che da troppo tempo stava interpretando. Questa interpretazione le valse la terza “nomination” all’Oscar. Straordinarie la sua intensità emotiva di donna innamorata e la repentinità di mutamento della sua espressione (quando è in presenza del marito, di cui conosce il piano, e subito dopo, quando se ne allontana). Di Jack Palance c’è poco da dire: è un attore che si esalta nei ruoli di “cattivo” aiutato dalla maschera sofferta e deforme del suo volto, i cui tratti, segnati da anni di pugilato e lavoro in miniera, oltre che da ferite di guerra, rendono efficacemente i sentimenti che sembra albergare. Gloria Grahame interpreta un ruolo ormai a lei familiare, quella di donna frivola, “rovina-famiglie” senza scrupoli, capace di progettare e realizzare le cose peggiori.
David Miller, un regista poco conosciuto ai più, dirige qui uno dei suoi film più riusciti.
Avrebbe, anni più tardi, diretto un film dall’intreccio abbastanza simile, “MERLETTO DI MEZZANOTTE” con Rex Harrison e Doris Day, ma senza la tensione e la “suspence” del primo. Il racconto fila via come l’olio, ma ciò che lo rende avvincente è la sensazione crescente che presto l’idillio si trasformerà in un incubo mortale. Merito di Jack Palance, senza dubbio, il cui volto scavato e l’espressione di immanenza della morte, trasmettono impressioni nefaste. Ma è la straordinaria evoluzione sentimentale della Crawford che affascina: la sua “sbandata” totale e la differenza d’età fra lei e Blaine sono tali per cui è lecito attendersi un finale tragico. Tutto sommato, si tratta di un’opera di buon livello, diretta bene, fotografata meglio e impreziosita da una discreta colonna sonora di Elmer Bernstein. Gli anni ’50 sono il trionfo del colore e dell’ottimismo: un film come questo, cupo e triste, sembra andare controcorrente. In realtà segue la scia dei buoni thriller degli anni’40 che avevano riscosso un grande successo e che si vorrebbe prolungare. Non senza qualche ragione.

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