Regia di Fabio Grassadonia, Antonio Piazza vedi scheda film
CIAK MI GIRANO LE CRITICHE DI DIOMEDE917: IDDU – L’ULTIMO PADRINO
C’è del marcio a Castelvetrano.
È così che potremmo descrivere la storia del Principe Amleto Messina Denaro, una storia che i registi Fabio Grassadonia e Antonia Piazza tengono ben a precisare nei titoli di testa “La realtà è un punto di partenza, non una destinazione”.
E così partendo dallo spunto del rapporto epistolare tramite pizzini intercorso tra “L’ultimo padrino” Matteo Messina Denaro e l’ex Sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino, Iddu è un film che mescola Shakespeare e i suoi fantasmi di padri che gridano vendetta con le figure grottesche che hanno caratterizzato il cinema di Elio Petri negli anni ’70.
Questa Volta il “Sicilian Ghost” è rappresentato da un padre boss che sta morendo in una stanza d’ospedale realizzata dento una stalla in mezzo alle pecore. Quelle pecore che hanno iniziato il giovane Matteo al suo destino.
Un film che parte dal primo piano dell’occhio dell’agnello offerto in sacrificio per capire chi ha il sangue freddo per comandare e diventare un boss. Don Gaetano porta i suoi tre figli per capire chi ha quel codice genetico fatto di ferocia e cinismo. E scopre di avere un primogenito cagasotto, una figlia femmina pronta a eliminare dalla sua via tutte “Le cose inutili” ma purtroppo la Mafia è tradizionalmente maschilista e il piccolino che non fa una piega a sgozzare il “Silenzio degli innocenti” nascosto dietro quegli occhiali color fumè che ne legittimano il ruolo.
Iddu non è il classico Mafia movie che siamo abitati a vedere e nemmeno una Biopic scorsesiana.
Grassadonia e Piazza prendono la distanza da “Nomi e Cognomi”. Nonostante il boss si chiama Matteo ed è latitante a differenza del vero Messina Denaro è privo di altre tre sorelle.
La figura del Sindaco è sostituita da quella del “Preside” che viene da Castellammare di Stabia e che tiene a precisare che non è napoletano così come quelli del Belice e i Corleonesi non sono palermitani.
Il loro Iddu è un fil che parla di Padri Fantasma, di Padri Assenti che non riconoscono i propri figli, di Padri infami che prendono le distanze dai propri generi per poi approfittarsene per il proprio tornaconto.
Iddu è soprattutto un film di mezz'uomini, ominicchi, pigliainculo e quaquaraquà tanto cari a Leonardo Sciascia perché il vero protagonista non è tanto “L’ultimo Padrino” ma “L’infame più infame della storia dell’Infamità” rappresentato dal viscido Catello Palumbo interpretato da un Toni Servillo che ci sguazza quando deve calcare il suo istrionismo che si contrappone alla faccia di Sfinge che Elio Germano dona al suo “Matteo”.
Iddu racconta quel sistema che ha permesso una latitanza autoctona dell’uomo più ricercato d’Italia, un uomo che mal sopporta la sua vita da “Sorcio” e che forse fa capire il perché sia stato catturato nella clinica dove curava il suo cancro al Colon ormai all’ultimo stadio. Quasi a non voler fare la fine del padre e voler morire in maniera più dignitosa.
Purtroppo, Grassadonia e Piazza vengono traditi dalla realtà che disinnesca il loro sulfureo finale.
Ill film funziona per 2/3 alternando la tragedia di quell’uomo ridicolo che è Catello figura quasi Pirandelliana condannata a vivere nell’oblio, con una mafia quasi pulp con personaggi sopra le righe.
Il vero arresto del Padrino e la successiva morte che ha portato con sé tutti i segreti di quella latitanza rendono quasi vani quell’atto d’accusa contro lo Stato che avrebbe quasi protetto il Boss.
Però ad avercene film così.
Voto 7
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