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Regia di Fabio Grassadonia, Antonio Piazza vedi scheda film

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La recensione su Iddu

di port cros
7 stelle
81ma MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2024)  - IN CONCORSO
 
Catello Palumbo, detto "il Preside" (Toni Servillo) viene scarcerato dal carcere di Cuneo dopo sei anni di detenzione, senza aver mai collaborato con la giustizia sulle sue conoscenze mafiose. Rientrato nel suo paesino siciliano, ritrova il sarcasmo tagliente della moglie (Betty Pedrazzi), mentre la figlia è incinta del bidello scemo.
 
Il paese è dominato dalla figura occulta ma incombente del boss Matteo (Elio Germano), da anni in latitanza nascosto a casa di una vedova di mafia (Barbara Bobulova) e che comunica col mondo esterno tramite "pizzini" , con il locale supermercato a fare da ufficio postale. Un bel problema quando l'improvvido vicino apre una finestra abusiva sul terrazzo dove Matteo trascorrere la sua "ora d'aria"
 
"U Pupu" è l'antica statua di un efebo tramandata di padre in figlio dai boss è il simbolo del potere mafioso sul territorio, poi sequestrata e finita in un museo. Particolarmente significativo è il rapporto del boss latitante col defunto padre, che l'ha prescelto come suo erede consegnandogli il "pupu", pur non essendo il primogenito. E dall'altra parte c'è il figlio che non ha mai conosciuto né riconosciuto. Altro pilastro del quadro familiare è la spietata sorella Stefania (Antonia Truppo) che fa da intermediario per il clan.
 
Un clan investigativo della polizia incastra Catello e ricattandolo lo obbliga a collaborare avviando una corrispondenza di pizzini con il boss. Ma una intraprendente poliziotta (Daniela Marra)  comprende che l'operazione non ha affatto come scopo la cattura di Matteo: "il nostro orizzonte è l'incompiutezza" è la serafica sentenza del colonnello che la dirige.

 

Ispirandosi liberamente alla trentennale latitanza nel suo stesso paese dell'ultimo boss Matteo Messina Denaro, Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, che già sul tema mafioso avevano firmato il notevole Sicilian Ghost Story sulla tragedia di Giuseppe Di Matteo, tra citazioni bibliche e freddure ("Gli ultimi in Italia a leggere ancora di libri sono i carcerati") i registi infondono alla vicenda un tono grottesco e paradossale, come d'altronde la stessa vicenda che raccontano. Anzi forse stavolta si può dire che la realtà abbia superato la fantasia degli sceneggiatori. 
 
Servillo gigioneggia nel suo ruolo di patetico parassita, Germano dietro gli occhialoni scuri infonde un'aria di misero al suo boss occultato e protetto. Nessuno dei due ci fa amare il suo personaggio, ma questo non era l'obiettivo degli autori di questo film  drammatico ma anche ironico, un po' bizzarro, forse respingente, ma comunque interessante.
 
VOTO: 6,5 su 10
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