Regia di Fabio Grassadonia, Antonio Piazza vedi scheda film
VENEZIA 81 - CONCORSO
La epocale latitanza dell'ultimo boss di Cosa nostra Matteo Messina Denaro (Elio Germano) è potuta accadere grazie a connivenze coi poteri alti che ne hanno garantito la impunità per decenni.
La storia che liberamente tratta le gesta della direzione ultradecennale del boss invisibile attraverso "pizzini" e ordini impartiti per iscritto, parte dalla scarcerazione dell'ex politico e preside Catello Palumbo (Toni Servillo), vecchia volpe dell'inciucio e del malaffare che, contattato dalle forze dell'ordine, si vede offrire la possibilità di portare avanti un proprio scellerato progetto immobiliare turistico alberghiero su zona protetta antistante una spiaggia, in cambio di in contatto con il boss invisibile.
Un boss il cui unico tallone d'Achille è la memoria di un padre che veneta ed ora si ritrova defunto.
Palumbo, padrino del giovane boss, approfitta del legame nevralgico con la figura paterna per cercare di entrare in intimità col latitante, coadiuvato dalla tenace poliziotta Rita Mancuso (Daniela Marra).
Nonostante gli sforzi, si tratterà di un buco nell'acqua perché a garantire la latitanza del boss ci penseranno le connivenze con i poteri alti deviati.
Dopo Sicilian Ghost Story, la coppia registica Grassadonia/Piazza torna a raccontare il devasto di una convivenza con la mafia organizzata ed impunità che ingrassa sulle connivenze dei poteri alti e corrotti.
Questa volta i due bravi registi adottano uno stile grottesco che riporta al vernice l'istrionismo di un Toni Servillo in forma quasi quanto sotto la direzione di Sorrentino, in grado di tratteggiare i panni tragicomici di una figura meschina ma colta, approfittatrice sordida ma anche specchio di una società sprofondata in se stessa e piegata verso lo strapotere delle cosche.
Un macchiettismo di fondo che fa bene al film, e lo circonda di personaggi di contorno strepitosi, come quello della moglie mostruosa e straripante di sarcasmo di Catello, ottimamente resa dalla brava Betty Pedrazzi), o la sorella del boss (Antonia Truppo, favolosa). Grassadonia e Piazza si confrontano con uno stile di narrazione differente, che aspira forse a Petri, e che li completa, ma non placa certo o attenua quel forte desiderio di denuncia sottile, che ora si fa anche arguta, che li anima e motiva sin dagli esordi.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta