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Do Not Expect Too Much from the End of the World

Regia di Radu Jude vedi scheda film

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La recensione su Do Not Expect Too Much from the End of the World

di Peppe Comune
8 stelle

Angela (Ilinca Manolache) si sveglia ogni mattino per iniziare un lavoro che non sa per quante ore gli terrà impegnate le giornate. Lavora per una casa di produzione svolgendo ogni tipo di mansioneuna runner che affronta il traffico tentacolare di Bucarest senza fermarsi un attimo. Adesso è impegnata per le riprese di un video promozionale commissionato da una multinazionale austriacaSi tratta di, trovare prima e intervistare poi, delle persone che hanno subito gravi incidenti sul lavoro. La finalità è quelladi realizzare un film teso al risaltare l’assistenza ricevutda questi operai “sfortunati” dall’azienda madreSembra un lavoro semplice, soprattutto perché a ognuno degli operai intervistati viene prospettata la promessa che la loro presenza nel film li potrà aiutare nel loro percorso riabilitativo. Ma tra questi c’è Ovidio (Ovidiu Pirsan), che si mostra un po' reticente a non dire come sono effettivamente andate le coseIntanto, mentre Angela gira da un luogo all’altro per le strade della capitale romena, trova il modo di gestire il suo seguitissimo canale social, dove sotto il profilo fake di Bobita lancia sboccate invettive anarcoidiParallelamente alle vicende di Angela si seguono anche quelle di un’altra Angela (Dorina Lazar) la tassista protagonista di “Angela Merge Mai Departe” di Lucian Bratu, un film rumeno del 1981Anche lei gira per le strade di Bucarest ed è portata ad affrontare quotidianamente l’umoralità cittadina. E anche lei è sempre in auto.

 

Ilinca Manolache

Do Not Expect Too Much from the End of the World (2023): Ilinca Manolache

 

RadJude è un autore che trasmette netta l’impressione di avere un rapporto gioioso con il cinema, fatto di momenti narrativi che nella loro ricercata trasversalità immaginifica e nel loro spirito iconoclasta, trovano una loro coerenza poetica. Un rapporto che è tipico di chi ha evidentemente raggiunto unadeguata padronanza del mezzo cinematografico, capace cioè di ricondurlo alla sua più pregnante valenza speculativaquello di offrirsi come lo strumento speculativo più idoneo per interpretare un tempo che nella continua sovrapposizione di immagini e nel loro accumulo indifferenziato va disperdendo il senso del reale.

A riprova di quanto scritto, mi sembra che "Do Not Expect Too Much from the End of the World" possa essere definito un film crossmediale”, tanti infatti sono i linguaggi utilizzati attraverso i rispettivi mezzi di comunicazioneognuno con una propria autonomia di linguaggio ma tutti funzionali a un'idea di cinema che tra il serio e il faceto, tra intendimenti riflessivi e venature grottesche, tende a far emergere quanto c'è di vero nella costruzione della finzione. 

Si prendano gli smartphone, i PC portatili, i dispositivi per le riprese video, le webcam per le videochiamate, piuttosto che essere considerati come degli elementi passivi della narrazione, che stanno lì a popolare l'organizzazione della messinscena "semplicemente" perché sono tutti dispositivi che ormai popolano il nostro quotidiano, sono attivamente partecipi dello sviluppo della narrazione filmica in quanto parte integrante delle sue finalità poetiche : per il loro essere veicoli di trasmissione continuata di immagini e quindi suscettibili di incidere sulle forme dell'immaginario e sui ritmi  con cui la sua manipolabilità produce i suoi frutti.      

In primo luogo, ci sono due film che dialogano tra loro a più di quarant'anni di distanza, entrambi con una propria estetica a caratterizzare la messinscena, ma entrambi accomunati nel fare del movimento continuo per e tra gli spazi urbani di Bucarest un modo per insinuare qualche riflessione comparata tra la Romania di ieri e quella di oggi, tra un paese all’ombra di una dittatura e un altro oberato di (dis)illusioni consumiste. Un rapporto che attraversa il tempo e lo spazio (appunto) per risolversi in un intimo legame narrativo. Innanzitutto, perché il montaggio è concepito in modo da generare tra inquadrature diverse di entrambi i film un rapporto pressoché specularequasi come se si guardassero allo specchio e/o si parlassero a distanzaPoi perché la Angela del film di Lucian Brutu ricompare in quello di Radu Jude, e non tanto e non solo come la madre di Ovidio che deve essere intervistato da Angela, ma come una donna che si racconta esattamente come la vediamo nel film del 1981 : un’ex tassista durante gli anni della dittatura che ha sposato un uomo dedito all’alcool conosciuto durante il lavoro. Chi è Angela, l’attrice di un film o una tassista la cui vita è stata documentata in un film ? Detto altrimenti, è più vera la falsità cinematografica o la recita di una vita ? Questo quesito è quanto emerge dal corto circuito generato dall’invasiva (ri)produzione di immagini. 

A riprova di questo inserire film dentro altri film, produzioni di immagini dentro altre produzioni di immagini, vale la pena sottolineare la presenza del regista tedesco Uwe Boll che recita se stesso mentre sta girando il suo (ipotetico) film e mentre asseconda Bobita nei suoi turpiloqui social. 

In secondo luogo, ci sono le registrazioni dallo smart-phone sul canale social di Angela-Bobita per lanciare in pasto alla rete le sue invettive anarco sessuali. Un canale che può vantare migliaia di visualizzazioni e la cui trasmissibilità si intreccia senza soluzione di continuità con le ordinarie incombenze della donnaFinendo per rendere più riconoscibilla Angela che si nasconde dietro un profilo fake ad urlare esternazioni scurrili venate di diasticolato ribbellismo che la lavoratrice instancabile, più interessante e conveniente la falsità esplicita che nasconde verità indicibili, che il semplice scorrere della vita che mostra il carattere sfuggevole della realtà quotidiana. 

Infine, c’è tutto il lavoro per la realizzazione di un film promozionale commissionato alla casa di produzione in cui lavora Angela da una multinazionale austriaca. In ogni fase della lavorazione del film, i resoconti audiovisivi degli incidenti sul lavoro documentati devono essere addomesticati su misura ai voleri dell'azienda madre. Nella fase di pre-produzione, si cerca di ammorbidire le pretese degli sfortunati operai con la prospettiva che delle riprese convincenti possono accelerare l'iter per il risarcimento dei danni subiti. Nella fase di produzione delle riprese, si lavora per allineare la percezione che devono suscitare le immagini con una narrazione che sia più incline ad esaltare la magnanimità dell'azienda estera che a denunciare le degradanti condizione di lavoro. Infine, nella fase di montaggio il lavoro di taglio e cuci sulle immagini e sul sonoro ha come fine quello di manipolare la percezione della realtà per condurre il tutto all'unico scopo per cui si è concepito il prodotto audiovisivofare esclusivamente gli interessi di chi paga. 

A mio avviso, per come viene compendiato tutto il senso del film, bella ed emblematica è tutta la parte finale. Si devono fare le riprese ad Ovidio (il figlio di Angelala tassista), un operaio rimasto sulla sedia a rotelle in seguito ad un colpo ricevuto alla testa dalla caduta di una sbarra malmessa. Ovidio racconta i fatti così come sono andati, ma c’è sempre qualche parola che è meglio non utilizzarec'è sempre qualche frase che va edulcorata perché denuncia ciò che è meglio non denunciare. Siamo all'esterno della fabbrica, nel luogo dove è avvenuto l'incidente, ma è meglio che venga spostato un camion che non rende visibile la profondità dell'ingresso ; è meglio che non si faccia notare la scarsa illuminazionedell'esterno ; ma soprattutto, è opportuno che la sbarra arrugginita che ha quasi ammazzato Ovidio non compaia nell'inquadratura. La camera è fissa per tutto il tempo, le cose entrano ed escono dall’inquadratura su misura di come si vuole organizzare la messinscena. Si è partiti nel pomeriggio e si fa buio, c'era il sole e poi arriva la pioggia, e quando si arriva alla fine l'idea di partenza rimane solo un ricordo lontano. La verità viene smontata pezzo per pezzo e la falsità insita in ogni immagine del film (“AncheLumière hanno ripetuto più volte l'uscita della fabbrica chiosa emblematicamente il regista) supplisce volutamente ad una più corretta percezione della realtà. 

A fare da collante a tutte le parti del film c’è naturalmente la figura onnipresente di Angela. Al suo andamento veloce si deve la connessione (crossmediale appunto) di tutti i linguaggi comunicativi che continuamente si intrecciano e vicendevolmente si sovrappongono. È nei suoi spostamenti continui che prende forma una sorta di percorso a tappe in ognuna delle quali sembra corrompersi ogni volta la corretta percezione del già visto. 

Il montaggio (che sembra alternato rispetto all’altro film), la gestione metalinguistica dei modi diversi di comunicare attraverso le immagini, l'uso del bianco e nero tendente a raffreddare l'insorgere dell'empatia (in netto contrasto con i colori caldi dell'altro film), l'ironia iconoclasta (a partire dal titolo, che letteralmente significa "Non aspettatevi troppo dalla fine del mondo") che accompagna con fare didascalico l’intero sviluppo narrativo. Radu Jude tiene tutto sapientemente insieme arrivando ad una coerenza formale e di contenuto che fa della caratterizzazione di Angela lo specchio attraverso cui scorgere i (dis)valori del postmoderno. Angela sarebbe per un mondo più giusto, ma sa esprimerlo solo spettacolarizzando le sue invettive anarcoidi e quindi disinnescandole sul nascere nella anonimia indifferenziata dei canali socialAngela è una donna libera, ma solo nel recinto spazio-temporale che pochi decidono per tanti e nei limiti di ritmi di lavoro schiavisti che velocizzano anche il godimento sessuale. Angela è una donna bella e determinata, ma questo non gli impedisce di regredire al livello dei compromessi più a portata di mano. Angela è una figlia perfetta della Romania, e come tale sembra rifletterne l'indeterminatezza che ancora la tiene sott scacco: quella di un paese che dopo la dittatura di Ceausescu ha trovato nella bulimia capitalistica un nuovo modo per allineare la verità agli interessi del più forte 

Insomma, con questo film, attraverso il solito equilibrio tra il sardonico e il riflessivo, tipico di chi non preferisce prendersi troppo sul serio,Radu Jude ci parla del nostro tempo e dei suoi problemi molto più di quello che sembra. Grande cinema. 

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