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Simon del deserto

Regia di Luis Buñuel vedi scheda film

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La recensione su Simon del deserto

di alan smithee
9 stelle

Simon del deserto è il terzo ed ultimo capitolo di una trilogia dedicata alla fede, alla religione e agli influssi contraddittori della stessa sul comportamento e l’agire umano. Fa seguito a Viridiana e a L’angelo sterminatore, e coincide con il termine dell’esilio messicano dell’autore: periodo tutt’altro che facile per il regista, a causa soprattutto dello scandalo a cui tale serie di film scomodi e scottanti andarono incontro negli ambienti vaticani, e dunque nei confronti dell’intero pensiero della comunità mondidle cristiana e cattolica.

In soli 45 minuti scarsi (il film doveva durare il doppio, arricchito di una seconda parte dedicata al nemico giurato di Simon, ovvero il diavolo, che tuttavia fu impossibile girare al regista dopo le difficoltà incontrate con questa prima parte) la vicenda lascia spazio a descrivere la singolare scelta di vita del monaco Simon, auto-esiliatosi nel deserto su una colonna ad espiare le colpe dell’umanità, perennemente in piedi, mantenuto in vita dai gesti umanitari dei fedeli e dei frati di un convento non lontano.

Uma vita ascetica e penitenziale quella di Simon, che diviene un oggetto di adulazione e devozione generale, ma anche il bersaglio di un demonio che le studia tutte per tentarlo, sedurlo, portarlo con sé nel regno del peccato.

Da ateo dichiarato, Bunuel non lesina l’ironia ed il sarcasmo che da sempre costituiscono uno degli aspetti espressivi più forti e geniali della sua tecnica rappresentativa e narrativa: ma da persona intelligente e curiosa, il cineasta non irride, anzi ammira curioso l’atteggiamento perseverante e potente, quello stesso che ha reso caratterialmente potenti, forse addirittura invincibili a dispetto dei loro carnefici terreni, molti dei martiri che si sono battuti sino alla fine per testimoniare la loro verità: una verità che, se analizzata in modo circospetto, è in grado di appassionare e di creare degli spunti riflessivi, se non addirittura degli interrogativi di coscienza, anche presso gli esseri umani più irriducibilmente miscredenti.

Poi certo è il tocco sarcastico rende geniali certi approcci: il popolo che celebra la costanza del santo costruendo un nuovo piedistallo, più regale certo, ma anche più alto, in modo da allontanarlo ancora di più dal mondo, in un certo avvicinandolo al suo Dio, ma allontanandolo dal suolo terreno; oppure la fantastica scena finale in cui il santo e il demonio tentatore, nelle festi femminili di Silvia Pinal, si ritrovano per incanto nei tempi moderni in un night newyorkese ove si celebra attraverso balli e sballi il rito tribale del vivere sulla cresta dell’onda.

Se di trilogia si tratta l’insieme di opere in cui si inserisce questo Simon, essa viene celebrata anche dalla presenza, in tutte e tre le pellicole, dei due validi attori Claudio Brook e la splendida attrice messicana Silvia Pinal, che, dopo la quasi santità ingenua ed appassionata manifestata nel personaggio di Viridiana, qui passa dall’altra parte vestendo i panni discinti e tentatori di un satana femminile dal grande appeal.

Pur rimasto tronco di una sua parte, con Simon, la sua potenza espressiva, il suo erotismo debordante e certamente eccessivo e fuori da ogni cliché dell'epoca, siamo in zona capolavoro.

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