Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
I testi biblici sono ricchi di elementi poetici, onirici e visionari, e Luis Buñuel se ne serve a piene mani per comporre, in un quadro surreale, la (per lui, assurda) trascendenza del messaggio religioso. La vicinanza a Dio e l’avversione per il diavolo sono, per l’asceta Simon, un fatto puramente relativo, esclusivamente determinato dalla sua collocazione spaziale, sopra una colonna isolata nel deserto, oppure sulla terra, in mezzo alla gente comune. Il linguaggio figurato si presta, di fatto, a questi trabocchetti, in cui i concetti astratti, sostituiti da immagini concrete, finiscono per diventare, come queste ultime, limitati, malleabili e precari. L’ambiguità, con le sue maliziose derive, è sempre in agguato: i simboli, prodotti dall’uomo ma rivolti alla divinità, sono un naturale appiglio per scherzi blasfemi, oltre a fornire, se usati come insegne, un facile camuffamento per le cattive intenzioni. Così il latte, metafora della purezza e della maternità, può ispirare pensieri peccaminosi se associato all’idea di una mammella di capra, o di una odorosa forma di formaggio; e il diavolo può indossare la tonaca, e confondersi tra i monaci, oppure assumere le sembianze dell’innocenza, vestendo i panni di una bambina o di un pastore di agnelli. Il teatrale gioco dei doppi sensi e dei travestimenti riporta il discorso all’esoterismo e alla mitologia, dove, dai sibillini oracoli delfici ai truffaldini avatar di Zeus, ogni significato o fenomeno può ribaltarsi da un momento all’altro. Le parole e le icone restano quelle che sono, labili portatrici di sensi equivoci, che volano via e poi possono essere rigirate, dimenticate, fraintese; una preghiera di sottomissione a Dio può volgere in maledizione contro Satana, nel momento in cui l’inganno viene rivelato, e un piedistallo può ospitare un nuovo monumento, un diverso oggetto di venerazione, nel momento in cui il vecchio è risultato inadeguato. L’apocalisse, ossia la presa di coscienza che provoca il rivolgimento, è qui e adesso, e accade in continuazione; ogni volta ci illudiamo che sia l’ultima, che abbiamo infine capito tutto della vita e deciso, definitivamente, cosa sia più giusto: però, in realtà, questo millenarismo laico, della ragione individuale e collettiva, si rinnova, senza che ce ne vogliamo render conto, ad ogni cambio di stagione.
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