Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
"E' la vita, ubriacone: devi sopportarla. Devi sopportarla fino in fondo". Questa - la battuta finale - è la morale di un lavoro apertamente ed aspramente critico verso la cristianità, che mette in scena lo stolido ed ipocrita autoflagellarsi di Simon come risposta isterica all'impossibilità di dare un significato all'esistenza dell'uomo. Non è facile vivere come il protagonista, ma nemmeno necessario: è anzi preferibile mettersi in gioco, tanto l'estinzione (l'ecatombe nucleare?) è in arrivo. Bunuel è come sempre mostruoso: per la bravura e per i toni grotteschi, grevi, onirici. I suoi personaggi sono simboli e i dialoghi sono tesi. Condividerle o meno non conta, ciò che fa la differenza è l'immagine e lo stimolo a riflettere che essa causa.
Simon vive nel deserto, in piedi su una colonna, da oltre sei anni. Scenderà solo quando si sentirà finalmente purificato dai suoi peccati; intanto il volgo passa sotto la sua colonna e gli chiede miracoli, da lui puntualmente realizzati. Simon resiste alle critiche dei frati, alle tentazioni di una ragazzina discinta, agli insulti dei passanti, ma non alla tentazione di una donna (satanica) che lo porta con sè, in aereo, fino ad una festa in una metropoli dove ragazzi scatenati ballano il twist. Ma qui Simon si annoia e vuole andarsene.
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