Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
Come film è ingiudicabile perchè la sua forma tronca rende incomprensibile il suo tema filosofico, che è uno degli aspetti fondamentali del cinema di Bunuel, e limita anche i suoi sfoghi surrealisti. La vicenda di uno che pratica l'ascesi fino al parossismo (si accentua la tematica della religione come rifiuto del mondo), gli si presenta il Diavolo, naturalmente in vesti sensuali, e lo porta nel 1960, mentre invita a domandarsi di che natura sarebbe stato il progetto finale, offre momenti di divertente visionarietà surrealista (il posseduto, le battute sulla proprietà privata e l'aggressività umana, che il sacrificio individuale non può guarire, la discoteca) a qualche caduta di gusto (l'attacco anti-religioso a tratti si fa maniera). Chissà forse è solo un percorso di liberazione dalle strutture mentali. E' curioso che il finale, per quanto improvvisato, mi richiami quello del successivo "Bella di giorno", quando, dopo che della protagonista masochista si è scoperta una terribile colpa, subentra una bizzarra atmosfera di "ora dovrai soffrire la vita, tutta!". Il credo religioso si mostra più assurdo e sovrastrutturale che in Nazarin e Viridiana. Geniale la scena del miracolo dove, ricresciute le mani all'uomo, si capisce che tornerà a usarle come strumento violento in famiglia: certe cose, pure belle, passano facilmente alla storia come sublimi non guardandone le loro risonanze sul debole.
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