Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
Sagace, il Poeta aragonese (anche qui ispirato da José Bergamìn) sa che solo Iddio è santità, è luce. - Ci regala variazioni memorabili sulla maschera di presunzione del misticismo compulsivo (e neppure Freud ha osato tanto).
Al tema di Simon del Desierto, il regista aragonese cominciò a pensare nel '62, al tempo de L'Angelo Sterminatore (in difetto sia d'agilità che di resa fotografica) e venne elaborato a lungo; cortometraggio di fortuna all'arte: piccolo, concentrato e tosto i miglior valori in opera -qui e in Las Hurdes- di Bunuel poeta; ché, non di rado, nei suoi lungometraggi e con interpreti messicani smarrisce ritmo narrativo per temi cui insistito refrain o incerto sviluppo appannano un po' l'omogeneità di resa delle sue ispirazioni. Questo film apparve alla mostra cinematografica di Venezia del '65, quando il kennedysmo epocale appena cominciato era già finito, ma non i diffusi rintocchi di fondo della paura atomica, che aveva già tutti compenetrato d'ansie torride nei giorni della crisi dei missili sovietici a Cuba; il Vaticano II era a gli sgoccioli, ma non l'ombra d'antan di misticismo di miracolismo di collezionismo reliquiario -dubbie religiosità- che Papa Giovanni si proponeva - invano, si è visto, entro struttura ecclesiale- di superare in genuino spirito d'Evangelo. "Grazie a Dio sono ateo", diceva di sé l'Autore -con ciò implicitamente riconoscendo, sagace, la possibilità in divenire, nell'umano, di una suoperiore presenza: individualizzata, non egemonia vincolante -luce sì dell'estethos non frale d'ogni arte.
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