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Simon del deserto

Regia di Luis Buñuel vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Simon del deserto

di laulilla
10 stelle

Oggi mi sembra che Simon del Desierto potrebbe […] essere uno degli incontri dei due pellegrini della Via Lattea, sulla strada tortuosa per Santiago de Compostela (Luis Buñuel: Dei miei sospiri estremi ediz. SE 1982 pag. 251)

 

Nel bellissimo libro delle sue memorie ultime – al quale ho accennato – Luis Buñuel ci racconta i suoi soggiorni messicani e la sua amicizia con Gustavo Alatriste, produttore di molti film degli anni in cui – dopo aver girato due film negli Stati Uniti – il regista dovette tornare in Messico, per evitare le persecuzioni maccartiste.

 

Purtroppo, per difficoltà economiche sopraggiunte, Alatriste dovette sospendere la produzione di questa pellicola e Buñuel fu costretto a concluderla in fretta, con un finale inatteso, ma – in certo modo – geniale, tanto che, pur mutilata e incompleta (dura 20 minuti), l’opera riuscì a ottenere il premio speciale per la miglior regia alla rassegna veneziana del1965, e altri quattro premi.

 

La storia raccontata è quella del monaco stilita Simon, che, fra il V e il VI secolo, decise di abbandonare ogni forma di vita sociale e di dedicarsi alla preghiera solitaria nel deserto, vicino ad Aleppo, in cima a una colonna, cibandosi di poche e frugali vivande che i monaci di un monastero  gli facevano arrivare attraverso un canestro legato a una fune.

 

La vita solitaria di preghiere e di mortificazioni, tuttavia, non riusciva a tenere lontane né le distrazioni – l’arrivo di altri monaci, della madre, del pastore di capre o l’assieparsi di folle in attesa di miracoli – che ne turbavano la vita contemplativa, né le tentazioni sataniche della carne, che si presentano sotto le mentite spoglie di una graziosa donna, un po’ birichina, ovvero di Silvia Pinal, moglie di Alatriste, protagonista di altre opere buñueliane, qui nei panni – invero pochi – del diavolo insidioso.

 

Anche questo film si interroga, sul bene e sul male, cercando di individuare, attraverso i personaggi, quali siano i comportamenti virtuosi e quali quelli malvagi, concludendo, a mio parere, che isolarsi dal mondo non pare essere la via del bene, perché la vita, difficile per tutti, deve essere sopportata fino in fondo.

Così dirà Satana–Pinal, finalmente riuscita nell’intento di strappare Simon alla sua colonna, per trasportarlo, con un volo vertiginoso nel tempo e nello spazio, in un locale chiassoso, affollato e peccaminoso di Manhattan, che non per caso si chiama Sinners.

 

Tutti gli avventori-sinners cercano di divertirsi fumando, bevendo e danzando al suono delle moderne e scatenate musiche:  musica radioattiva, la definirà sorridendo la diavoletta Pinal rivolgendosi ironicamente a Simon, che la caccia via con la formula esorcistica Vade Retro a cui fulminea e ironica risponde Vade Ultra, battuta allusiva della rivista surrealista che nel 1922 aveva pubblicato per la prima volta un articolo di Buñuel.

 

 

 

 

Il finale, spiazzante e beffardo ci riporta dunque ai temi cari al regista: nessuno è buono, né lo è stato nei tempi passati, perché i vizi degli uomini sono ad essi connaturati: quel monaco imbroglione; quel pastore un po’ troppo vicino alle sue capre; quel ladro che grazie alle preghiere di Simon riacquista le mani, ma subito ne è irritato (lavorare non gli piace), quella folla superstiziosa e ignorante, tutti, insomma, sono molto meno simpatici della divertente e surreale diavoletta che, infine chiede, in lacrime, di essere perdonata per il suo antico peccato di superbia.

 

Conclusione blasfema, come accade spesso nei film a tema religioso di un regista ateo, ” per grazia di Dio”, come dice lui stesso, parlando di sé nel libro di memorie che ho citato

 

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