Regia di Leo Leigh vedi scheda film
Chi ha visitato una casa in Inghilterra, almeno nelle sue conformazioni più comuni, potrà riconoscere in Sweet Sue uno degli utilizzi più candidi e precisi di quegli spazi come teatro comico e intimo, sullo sfondo di un triangolo “sentimental-familiare” totalmente imprevedibile. Sue, reietta nella sua famiglia e da sempre ribelle, trova in Ron un compagno ideale di risate ubriache e gite in motocicletta; ma nella sua vita - come nel film, tramite un montaggio incrociato all’inizio stranamente misterioso - si insinua il figlio di Ron, Anthony, influencer appassionato di moda e di ballo, corpo di ventenne botulinato e vanitoso da “effetto pelle pulita” su TikTok. Quelli di Sue e Anthony sono mondi che vanno a schiantarsi, e attraversano montagne russe di affetto e rancore mentre Ron si affossa in un mutismo che declama a chiare lettere la sua insofferenza nei confronti di un nuovo potenziale nucleo familiare che non lo libera dal suo senso di frustrazione.
In Sweet Sue si ride a denti stretti, si cerca con chi parteggiare, ci si perde tra quegli spazi stretti e ci si imbarazza nei silenzi delle incomprensioni. Leo Leigh ha un gusto poco conciliante per la sua mini-saga familiare di protagonisti che confondono l’ameno e l’esistenziale, lo sballo di una serata con la tristezza di un’intera vita. Il relativismo assoluto dei contesti casalinghi che ergono Sue da esclusa insultata a saggia consigliera rende più l’idea di un mondo di rapporti umani di continua subordinazione e inappaiabilità piuttosto che di un racconto di formazione ottimista.
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