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Il signore delle mosche

Regia di Peter Brook vedi scheda film

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La recensione su Il signore delle mosche

di sasso67
8 stelle

Ottimo film di Peter Brook (1925), uomo di spettacolo britannico, uno dei più grandi registi teatrali attualmente in vita. Tratto dal capolavoro (pubblicato nel 1954) di William Golding (1911 - 1993), Premio Nobel per la Letteratura 1983, "Il signore delle mosche", girato nel 1963, uscito in Italia soltanto nel 1977, è ancora attuale sia per tematiche che per ambientazione (nel senso che il pericolo atomico è tuttaltro che scongiurato). Fotografato in un bellissimo bianco e nero che ricorda "Il Dottor Stranamore" (1964), cui per qualche verso si apparenta, il film racconta la storia, ambientata non casualmente nel 1984, di un gruppo di ragazzini di un esclusivo collegio inglese, sopravvissuti, su un'isoletta deserta, alla caduta dell'aereo che li stava trasportando in Australia per metterli in salvo dalla guerra atomica. All'inizio tutto fila liscio: viene democraticamente eletto un capo (Ralph) che mette ordine e tenta di regolare le attività del gruppo, suddividendo i compiti a seconda delle capacità di ciascuno. Con il passare dei giorni, però, e con l'emergere del pericolo per un fantomatico mostro che secondo alcuni è presente sull'isola, prende il sopravvento Jack, capogruppo del coro scolastico e nominatosi capo dei cacciatori dell'isola, e i ragazzini regrediranno ad uno stato primordiale di violenza, del quale faranno le spese i più razionali della piccola comunità. Importantissima è la simbologia di ciascun personaggio, specialmente dei quattro o cinque che più spiccano nel gruppo dei ragazzi, privati di qualsivoglia guida da parte degli adulti: Ralph è il leader, dotato di carisma personale e di umanità (alla fine sarà rimasto l'unico ad indossare, seppure a brandelli, calzoni e camicia dell'uniforme del collegio); Piggy (qui ribattezzato Bombolo) è l'intellettuale, un po' pedante, ma capace di ragionare con la propria testa e per questo malvisto dal resto del gruppo e spesso sbeffeggiato; Jack rappresenta gli istinti belluini nascosti dentro ciascuno di noi e pronti a sprigionarsi nei momenti di crisi (nel 1954, all'uscita del libro di Golding era ancora ben viva l'eco della barbarie nazista); Simon è il puro, colui che, pur naturalmente pavido, apre il vaso di Pandora, quello che può dire, pagandone le conseguenze, che il re è nudo. Ogni simbologia è stata utilizzata per interpretare il romanzo di William Golding ed in effetti qui si può dire che chi più ne ha più ne metta (non trascurerei di sottolineare che i "cacciatori" si presentano con i mantelli neri del coro, cantando "Kyrie Eleison"), dagli illuministi francesi alla paura dell'atomica, da Rousseau a Orwell e Huxley, ma quel che conta, in questo caso, è evidenziare come Peter Brook sia riuscito, anche grazie a un gruppo assortito e ben diretto di ragazzini (la mia simpatia va, inutile dirlo, all'occhialuto e cicciottello Piggy), a rendere il senso filosofico e la tensione che serpeggia in maniera inquietante - culminante secondo il metodo del climax, alla fine - nel romanzo originario.

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