Regia di Dario Argento vedi scheda film
Un giovane batterista rock di successo viene pedinato da un losco figuro in impermeabile. Rimasti soli dentro a un teatro deserto, parte la colluttazione fra i due e ha la peggio il secondo, che muore sotto gli occhi di un osservatore di passaggio, coperto da una maschera. Da quel momento in avanti, foto dell'omicidio (sia pure involontario) e oggetti personali del morto cominciano ad arrivare a casa del musicista, per il quale il nervosismo lascia spazio alla paranoia e al terrore.
Terzo tentativo, terza regia, terza maniera di rimasticare gli stessi ingredienti per Dario Argento: L'uccello dalle piume di cristallo aveva dettato la via, Il gatto a nove code aveva esplorato qualche variante, rimanendo sulla falsariga dell'esordio, mentre questo Quattro mosche di velluto grigio - molto semplicemente - rimane ancorato ai temi dei due precedenti lavori senza offrire granchè di nuovo o di curioso. Sangue, tensione, morbosità, voyeurismo, personaggi bislacchi (qui a iosa: quelli di Bud Spencer, di Oreste Lionello, di Jean Pierre Marielle sono macchiette perfino eccessive nel contesto, per tacere della gag del postino, tirata avanti a oltranza) e una spruzzata di psicanalisi più che elementare: dietro la sceneggiatura firmata dallo stesso regista non c'è altro e, stavolta, è difficile giustificare l'operato. Anche perchè il protagonista maschile, l'americano Michael Brandon, quasi al debutto, rivela tutta la sua inesperienza sul set in ciascuna espressione tentata, mentre al suo fianco il ruolo principale femminile è riservato a Mimsy Farmer, straordinaria come bellezza, ma ordinaria come attrice; in altri ruoli, oltre ai già citati sopra, troviamo Stefano Satta Flores, Aldo Bufi Landi e Laura Troschel. Anche l'idea al centro del titolo, risolutiva per la storia, è francamente tirata per i capelli; si salva però il mestiere di Argento, che regala fra le altre cose un'apprezzabile sequenza finale. Produce Salvatore (il padre) Argento, colonna sonora sufficientemente ispirata di Ennio Morricone; dopo un paio di lavori meno riusciti, Dario Argento tornerà nel 1975 con Profondo rosso, la sua pellicola più celebre e senz'altro meritevole di esserla. 4,5/10.
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