Regia di Grigorij Ciukraj vedi scheda film
Ottimo film, esemplare di quel cinema del disgelo che seguì alla morte di Stalin, fotografato in maniera esemplare su colori ora a tinte forti, ora quasi in assenza di colore, su una ragazza che è soldato ed è contrastata tra l'amore e l'obbedienza cieca all'ortodossia comunista (fa giurare al prigioniero, soldato nemico, di non fuggire, sul proletariato). Il quarantunesimo, rifacimento di un vecchio film di Protazanov, conosciuto (?) in Italia con il titolo di "L'isola della morte", è un film tutto di contrasti, a partire da quello che sta sullo sfondo, la guerra civile tra rossi e bianchi, fino a quello tra i due nemici/amanti e quelli che si agitano dentro loro stessi. Mariuska (non Mariuccia come dice Morandini) è soldato obbediente e fedele, ma ha ambizioni poetiche (benché i risultati siano francamente ridicoli) e si riscopre intimamente donna di fronte ai begli occhi azzurri del tenente; quest'ultimo è sì un soldato, ma soprattutto è un uomo di studi (laureato in filologia) che nutre l'ambizione di tornare a una vita normale, magari fatta degli agi che aveva prima della guerra. La tragedia finale sarà inevitabile, anche se potrebbe essere stata imposta dall'alto, per far vedere che una scelta di campo è obbligatoria e non si può convivere con il marciume borghese. Quello che conta è però il seme del dubbio coltivato lungo tutto il film, che riesce a far breccia perfino nel cuore di una "dura" come Mariuska. Il romanticismo che molti critici considerano un difetto del film è secondo me una prova della libertà intellettuale di Cuchraj, che mette in scena l'amore tra una servitrice del proletariato e un controrivoluzionario: amore impossibile, d'accordo, ma almeno ipotizzabile.
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