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50 km all'ora

Regia di Fabio De Luigi vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su 50 km all'ora

di mimmovelvet
6 stelle

Fabio De Luigi e Stefano Accorsi montano in sella a due motorini anni 80, si caricano a bordo tutto il peso del film per cercare reciprocamente la fratellanza perduta, portandosi appresso quel che resta di un Haber molto poco paterno.

Per Fabio De Luigi questa è la terza regia, a solo un anno di distanza dalla sua seconda prova, "Tre di troppo" con Virginia Raffaele. Qui è anche coautore della sceneggiatura, e divide la scena con Stefano Accorsi. Dalla visione del film emergono innanzitutto due ottime prove attoriali, molto omogenee fra loro, nel jazz si direbbe che c'è un grande interplay tra i due. In particolare, Stefano Accorsi si lancia coraggiosamente, ormai da anni, in ruoli distanti anni luce dalla sua fisionomia interpretativa che ne ha caratterizzato i successi mucciniani, per esempio. Mi vengono in mente "Marilyn ha gli occhi neri", "Veloce come il vento" e il curiosissimo "L'arbitro" , tutti ruoli estemporanei, affrontati tra l'altro con registi esordienti (Palo Zucca per "L'arbitro") o quasi. De Luigi, invece, con la maturità ha saputo meglio canalizzare la propria cifra interpretativa inizialmente eccessiva e debordante, colorandola di sfumature compassate ma sordidamente ironiche che hanno profondamente migliorato le sue caratterizzazioni. Penso, per esempio, a "Gli uomini d'oro", di Vincenzo Alfieri, in cui il suo personaggio carognesco si mescolava impeccabilmente con la sua faccia da simpaticone latente. In questo film i due, fratelli un tempo e nel presente reciprocamente caini, devono convivere un pugno di giorni e notti, a bordo di due motorini residuali della loro adolescenza (un ciao e un califfone miracolosamente ancora efficienti e soprattutto forniti di benzina dopo un abbandono di oltre trent'anni...), per spargere le ceneri del (poco o per niente) compianto padre appena scomparso (Alessandro Haber sgradevole quanto basta) sulla tomba della loro mamma. E questo viaggio, proposto con insistenza dall'Accorsi, ultimo atto prima di sparire di nuovo dalla vita del fratellaccio De Luigi, scaturisce da una lettera che il caro papà riserva apposta per il figliolo latitante da anni dalla casa paterna. E questa lettera rappresenta poi il "piede perno" su cui gira tutta la storia. Oltre il road movie di cui è affollata la storia del cinema, c'è molta cura per i ruoli intensi dei due personaggi, che devono classicamente oscillare e pendere da una parte all'altra per equilibrare e non appiattire l'orizzonte degli eventi, e farlo tra l'altro a bordo di due motorini ante litteram. E tutto questo nonostante l'ausilio della solita partita a pallone, dell'immancabile incontro con il sesso femminile occasionale e chiaramente fuori dall'ordinario, e dell'angolo carrambesco del padre prodigo che torna (anzi arriva visto che non lo aveva mai conosciuto prima) e viene candidamente accolto dal figliolo abbandonato. La storia regge grazie alla plasticità dei personaggi, capaci di flettersi e colorarsi senza scosse e sbalzi narrativi, e la chiosa finale davvero illumina e riflette di ulteriore energica poesia tutto ciò che era stato visto prima.

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