Regia di Margherita Vicario vedi scheda film
Promettente esordio alla regia della trentaseienne Margherita Vicario, cantautrice, cineasta e attrice oltre che co-sceneggiatrice della pellicola insieme ad Anita Rivaroli e autrice delle musiche originali, con Gloria! scrive e dirige una storia ambientata nella laguna veneta del 1800, in un collegio femminile che ospita orfane diretto da un prete che tutti ritengono impeccabile compositore e, soprattutto, fragoroso inno alla libertà e all’emancipazione femminile attraverso l’arte e la musica.
Un film dedicato a tutte le compositrici nascoste nelle pagine della storia e, per certi versi, un esordio emendato dalle proprie dinamiche transmediali che ne rendono l’attività di cantautrice della regista contigua e, quindi, coerente alla stessa opera cinematografica, ulteriormente rafforzata dall’altrettanto significativa presenza, nel cast, di Veronica Lucchesi, cantante de La Rappresentante di Lista, a ulteriore dimostrazione di come l’impianto sintetico di Gloria! derivi direttamente dall’essere un’opera in musica e per la musica.
La contaminazione tra ambientazione storica e musica pop non è certa nuova, la usava Sofia Coppola in Marie Antoinette stravolgendo la Storia per renderla unniversale mentre la cantante Björk in Dancer in the Dark di Lars von Trier contagiava il dramma con il musical, ma in Gloria! viene usato in modo molto più integrato, efficace non solo dal punto di vista emotivo ma anche per dimostrare il divario tra la formazione canonica e l'istintività come i possibili modi per superarlo.
La protagonista è una serva, non ha avuto alcuna istruzione non ovviamente sa leggere il pentagramma o riconoscere la differenza tra le note ma sente la musica, segue il ritmo e avverte la melodia permettendole di accedere naturalmente a nuove suggestioni musicali e a ritmiche impossibili per quegli anni che la regista sfrutta per suggerirne la potenza catartica e innovatrice della musica (o dell’arte nel suo complesso).
Ma Gloria! guarda anche tantissimo a L’attimo fuggente di Peter Weir, sostituendo la “Setta dei poeti estinti” e il suo gruppo di adolescenti che di notte si ritrovano in una caverna a riscoprire attraverso la poesia una propria “voce” e una libertà d’espressione che il College in cui studiano tende invece a soffocare, con una sua versione tutta al femminile che condivide però lo stesso desiderio di emancipazione e che, sembrano suggerire i due film, si può raggiungere solo attraverso l’arte.
Dietro un racconto volutamente popolare, che intende raggiungere un pubblico il più ampio possibile, c’è però anche l’esigenza di gettare luce su un’intere generazioni di donne istruite ed educate alla musica ma senza nessuna possibilità di affermarsi e di cercare, e trovare, una propria espressione artistica, sacrificate ai rigidi ranghi dell'organizzazione cattolica (e al patriarcato) e che la regista omaggia attraverso la storia di un gruppo di ribelle capaci di creare melodie "pop" in grado di scardinarne le catene.
Un’utopia, certo, ma pervasa da un’energia e da una necessità che non può rimanere ingabbiata delle regole della verosimiglianza storica, e una creatività che trova espressione non soltanto nella musica ma anche in un’immagine pittorica, ad opera dell’ottima fotografia di Gianluca Palma, a scardinare le basi della famigerata “ricostruzione storica”.
Il cast, piacevolmete astratto o anticonvenzionale, figurano oltre a Paolo Rossi ed Elio di Elio e le storie tese in un ruolo marginale, anche Natalino Balasso, Vincenzo Crea e Anita Kravos ma ad emergere sono soprattutto le giovani protagoniste Galatea Bellugi, attrice francese fresca di candidatura ai César 2024 come attrice non protagonista di Chien de la casse di Jean-Baptiste Durand, la già nominata Veronica Lucchesi e, a seguire, Carlotta Gamba, Maria Vittoria Dallasta e Sara Mafodda.
VOTO: 7
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