Regia di Margherita Vicario vedi scheda film
Ammetto candidamente di aver conosciuto Margherita Vicario grazie all’esordio da regista, e, probabilmente, non avrei dato credito al suo film senza l’endorsement di Carlo Chatrian che l’ha selezionata per il concorso nella sua ultima edizione da direttore della Berlinale. Eppure Margherita Vicario ha alle spalle un background di tutto rispetto in televisione, come attrice e presentatrice, e, soprattutto, una carriera musicale fatta di due dischi, numerosi singoli e collaborazioni importanti che avrebbero potuto dirmi qualcosa. A mia parziale discolpa invoco le attenuanti originate dall’aver abbandonato la tv lineare da anni e dall’aver smesso con la musica da quando gli artisti (italiani) hanno iniziato a farsi strada con i vari talent show. Sono indietro di almeno vent’anni, musicalmente parlando, per cui non è strano che il suo nome mi sia sfuggito. Mea culpa. Da quel che leggo (e soprattutto da quel che sento) il campo in cui Margherita Vicario s’è maggiormente distinta è proprio la musica per cui non c’è da stupirsi se per il suo esordio in un lungometraggio di finzione Vicario abbia scelto di scrivere e parlare di essa, anche se il periodo che ospita le vicende di cinque ragazze talentuose e ardimentose è molto lontano da quello che le appartiene e di conseguenza lo è la musica che si sprigiona tra le mura del convento e si propaga tra le acque salmastre solleticate dalle vibrazioni prodotte dal violoncello.
“Gloria!” È ambientato agli inizi dell’800 in un orfanotrofio femminile. Siamo dalle parti di Venezia come dice la didascalia iniziale e Perlini (Paolo Rossi), maestro di musica e canonico, riceve dal governatore di quelle terre lagunari il compito di comporre qualcosa di nuovo, qualcosa che sia all’altezza di un concerto in onore del papa. Il povero Perlini non è capace di produrre una singola nota e, tra le difficoltà quotidiane che lo angustiano ed il peso della mediocrità che lo schiaccia, trova un minimo di conforto scagliandosi contro musiciste e coriste dell’istituto, le orfane del Sant’Ignazio cresciute, sin da bambine, a pane e strumenti per allietare i riti domenicali, accrescere la gloria del maestro e guadagnare il pane corrisposto con immane generosità dai ricchi veneziani che da sempre aprivano per loro le borse in cambio della remissione dei peccati e di virtuosissimo silenzio.
L’arrivo di un nuovo e strano strumento che si dice sia un “fortepiano” accende gli animi di quattro allieve e di una giovane sguattera che, alzato il coperchio, non smette più di affondare le dita tra i tasti.Teresa, la sguattera, è costretta ad una vita di fatica tra le mura dell’istituto. Ma c’è qualcosa in lei di veramente speciale che “l’Opening” rende in tutta la sua peculiarità. Teresa (Galatea Bellugi) ha un orecchio finissimo ed un’innata predisposizione per il ritmo. Si direbbe che la musica le corra nel sangue, sia essa prodotta da un violino, da un bruschetto che maltratta i panni sporchi, da una scopa che schiaffeggia il lastricato dell’aia, da un coltello che affetta vigorosamente le verdure o da un ago che produce il lamento di una rammendatrice distratta.
La musica che gorgoglia felice dalle corde del fortepiano permette a Teresa e alle quattro musiciste del Perlini di abbattere le differenze sociali e di costruire un’amicizia fondata sulla passione.
Apparentemente leggero “Gloria!” sprigiona dalle casse armoniche degli strumenti e dai petti del coro una serie, tutt’altro che banale, di interrogativi e riflessioni sulle donne e sull’arte. Se le donne avessero avuto libero accesso all’istruzione e pari opportunità la musica odierna sarebbe la stessa? Se Teresa avesse potuto esprimersi tramite le note avrebbe apportato un significativo e magari rivoluzionario contributo allo sviluppo dell’arte?
Wolfgang Amadeus Mozart, geniaccio del ‘700, divenne un dio della musica. Ma sembra fosse altrettanto dotata Maria Anna Walbunga Ignatia Mozart, la sorella di Amadeus, che dovette, però, abbandonare le scene, giovanissima, per assecondare il volere del padre che per lei aveva scelto un futuro di moglie e madre. Maria avrebbe eguagliato il fratello? Non ebbe la possibilità di dimostrarlo come mille altre compositrici e musiciste del passato, le varie Teresa di cui non sapremo mai il nome. La stessa sorte tocca alle orfane del Sant’Ignazio a cui viene concesso di essere strumento nelle mani di un uomo ma nulla più di un archetto o una voce salita in aria dal diaframma. È evidente che la cantautrice romana crede fermamente in ciò che è indimostrabile e mette nelle corde dei violini di Lucia, Marietta e Prudenza, nell’archetto di Bettina e nei tasti del fortepiano una sinfonia di note naturalmente fuori posto che dimostrano la capacità delle donne di abbattere i dogmi e creare una musica totalmente libera e orgogliosamente in anticipo sui tempi. In questo assunto c’è un po’ dell’essenza stessa della cantautrice romana che nei suoi testi non ha mai risparmiato nessuno e nella sue melodie ha cercato nuove forme di comunicazione e nuove angolazioni da esplorare contaminando generi e stili. Che si senta o meno investita del ruolo che alle donne non è mai spettato nella storia della musica, quello di innovatrici, rivelando in ciò un misto di strafottenza e ironia, Vicario offre, comunque, un’oggettiva panoramica sulle donne del tempo posando lo sguardo sulle ingiustizie sociali, sulla chiesa castrante e bacchettona e sul potere maschile che costringevano le femmine in un gineceo di sottomissione e solitudine.
Tra vizi e mediocrità che guastano le loro personali ambizioni le cinque ragazze, supportante dalle altre orfane, offrono ad un pubblico incredulo un saggio di libertà espressiva senza pari. La libertà di espressione è ciò che interessa, dunque, alla regista. Non c’è un finale miracoloso, un intervento divino che illumini i prelati e la buona società. L’atto di ribellione ha un prezzo da pagare e produce rabbia e derisione per chi assiste passivamente alla stranissima e impudente prestazione.
“Suoniamo per la gloria. Qui non si fa la storia” canta Margherita Vicario nell’Aria! finale. Le donne possono essere libere e felici senza essere necessariamente apprezzate. Ê questo il rischio che un’artista corre a duecento anni di distanza? Rimanere sola, incompresa ed esclusa dalla storia?
Ironico, anticlericale e dissacrante “Gloria!” è una pop song il cui testo parla di aspirazioni e felicità, il cui corpo riproduce le vibrazioni delle corde più intime ed i rumori della vita, la cui voce, infine, deflagra nella rottura col presente e nella speranza di un nuovo orizzonte. Una buona opera prima che rischia solamente di rimanere un'isola nella laguna specie se la sua autrice presterà maggiormente la propria ugola alla canzone che il proprio occhio all'immagine.
Cinema Teatro Santo Spirito - Ferrara
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