Regia di Volker Schlöndorff vedi scheda film
Attraverso una lunga serie di interviste insieme al regista tedesco Volker Schöndorff, Billy Wilder ripercorre la sua carriera sfoderando dettagli tecnici, curiosità assolute e aneddoti di impagabile valore.
È il 1988 quando Volker Schloendorff dà vita a una lunghissima intervista con Billy Wilder che ripercorre buona parte della carriera di quest'ultimo; un lavoro monumentale, si presume, poiché le tre ore di durata di Billy, ma come hai fatto? contengono materiale evidentemente girato a più riprese, con l'unica costante della location: l'ufficio privato di Wilder. Ma, per quanto tre ore possano sembrare tante, questo documentario riesce comunque a lasciare l'acquolina in bocca agli ammiratori del regista de L'appartamento, A qualcuno piace caldo, Viale del tramonto e tanti, tanti altri capolavori. Tanto per cominciare perché il film procede in ordine cronologico arrivando solamente a Uno, due, tre (1961): mancano ben otto titoli (tra i quali Irma la dolce, Baciami stupido, Prima pagina...) della sua filmografia ricca di successi; e in secondo luogo poiché a ogni pellicola vengono dedicate alcune domande, spesso generiche, e raramente si approfondisce più di tanto: accade ad esempio per il capitolo Marilyn Monroe, che fu protagonista di due film a regia Billy Wilder (A qualcuno piace caldo e Quando la moglie è in vacanza) oppure per il sodalizio con lo sceneggiatore I. A. L. Diamond. Il problema a monte di tutto ciò sta naturalmente nell'eccessiva prolificità di Wilder e nella qualità mediamente parecchio alta dei suoi lavori: troppi titoli famosi, troppi aneddoti da raccontare, troppe curiosità tecniche e artistiche che sarebbe stato bello trattare. Schloendorff si comporta con grande riverenza come un alunno in visita al maestro; Wilder non si lascia però abbindolare dalle lusinghe e mantiene il suo tipico atteggiamento disincantato, disilluso anche di fronte all'evidente deferenza del suo interlocutore. Ne esce un dialogo davvero ispirato e colmo di spunti interessanti, al di là – come è ovvio che sia – di un racconto autobiografico da parte di uno dei massimi cineasti del Novecento; colpisce infine come Wilder e Schloendorff passino con disinvoltura dal tedesco all'inglese, anche all'interno dello stesso scambio di battute. 7/10.
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