Regia di Oliver Parker vedi scheda film
Una piccola storia nella Grande Storia
Bernie e Renée si amano da settanta anni, vivono in una casa di riposo a Dover dove lei si è dovuta ricoverare perché malata e lui l’ha seguita, la vita da solo a casa era insopportabile.
E’ il giugno del 2014, a giorni si celebrerà il settantesimo del D-day sulla costa francese e lui, veterano della Royal Navy, non ha fatto in tempo ad entrare nell’elenco degli inviati alla commemorazione. Ci saranno la regina e Obama, tanti ricordi e tanto dolore, non può mancare.
Va da solo, con il suo rollator pieghevole e il bastone, passo passo ma sempre energico benchè novantenne, fugge dalla casa di riposo, s’imbarca a Brighton e arriva dove, in quei giorni maledetti, perse un amico, Douglas.
“Non dovevo dirgli tutto andrà bene, non dovevo farlo uscire dalla nave trasporto col suo carro armato.”
Da settanta anni questa è la sua pena, sulle spiagge di Omaha, Gold Beach, Juno Beach, Sword Beach morirono migliaia di soldati Alleati, non si sa quanti Tedeschi, ma a Douglas aveva dato la sua ultima sigaretta e lo vide sparire in una fiammata appena sbarcato.
Bernie (un Michael Caine memorabile) e Renée (Glenda Jackson morta nove mesi la fine delle riprese) interpretano questa coppia di sopravvissuti. Qualche flashback di gioventù, belli, innamorati, e poi la guerra e lo stridore della morte.
Della fuga in Normandia di Bernie non sa neppure lei, ma poi qualcosa trapela, tv e tabloid parlano del grande fuggitivo, la notizia fa il giro del mondo e lei capisce.
La loro complicità è forte come il loro amore, e quando Bernie torna con un mucchietto di regali che gli hanno dato come omaggio all’ eroe della fuga in Normandia, una bella stecca di cioccolato e un salame, lei è felice e, possiamo ben dire, vissero (non) a lungo felici e contenti.
Un film di vecchi che dice tante cose ai giovani, nessun patetismo né compiacimento, la cadenza lenta delle scene è quella del passo di chi non ha più l’agilità della giovinezza né la pettoruta sicurezza della maturità, si cambia e poi si muore, il corpo si prepara a tornare polvere, ma qualcosa rimane, indelebile, se la testa continua a funzionare.
E’ la costruzione di una vita, la selezione dei ricordi, i sentimenti più forti.
Altri dieci anni sono passati, è il D-Day, il giorno-giorno di ottanta anni dopo, “Mezzi da sbarco della Marina francese sono arrivati a Omaha Beach per mettere in scena una parte di quel giorno, motociclette Harley Davidson d'epoca dell'esercito americano sono sfilate sulla principale spiaggia dello sbarco del 6 giugno 1944. Sull'altra sponda della Manica, nel Regno Unito, il mare e il cielo intorno alla città inglese di Portsmouthsono stati animati da navi e aerei mentre i veterani britannici lasciavano le coste britanniche diretti in Francia” così hanno raccontato giornali, social e televisioni.
Ormai restano solo le celebrazioni e pochi centenari in carrozzella a ricordare quelle settemila navi e oltre 150 mila uomini che vissero il giorno più lungo della nostra storia e ci salvarono da un futuro che troppi, oggi, stanno dimenticando.
Fuga in Normandia dà il suo contributo in tono minore, è una storia vera pertanto, come tutte le storie vere, senza lustrini né fanfare, ricorda con la serena saggezza dei vecchi che tanto hanno visto e capito come la vita possa essere il dono più grande ma anche la pedina di un gioco miserabile.
Bernie si vede circondato da gente in festa, giornalisti e fotografi che lo assediano, il circo Barnum mediatico celebra i suoi fasti, ma lui racconta alla moglie: I miei pensieri erano ai miei compagni che erano stati uccisi, sono andato solo per porgere i miei rispetti e ci sono riuscito.
Poi la loro vita continua serena non per molto, la fortuna è stata loro amica, una passeggiata sul lungomare con lui che spinge la carrozzella di lei, un gelato, uno sguardo ai ragazzi che corrono sulle moto sprezzanti del pericolo per sé e per gli altri, una lunga panoramica su uno di quei cimiteri di lapidi bianche che ricordano giovani come loro, e i titoli di coda.
ll regista Oliver Parker ha scelto un tono asciutto, privo di sentimentalismi, i volti rugosi di due attori di un grande Cinema, le semplici parole di un lessico famigliare a cui è affidata una memoria troppo grande per essere raccontata.
Piccole storie incuneate nella grande Storia, un vecchio uomo che attraversa un cimitero di lapidi bianche:
Qui
vivono per sempre
gli occhi che furono chiusi alla luce
perché tutti
li avessero aperti
per sempre
alla luce.
G. Ungaretti, Per i morti della Resistenza
www.paoladigiuseppe.it
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