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Home Education - Le regole del male

Regia di Andrea Niada vedi scheda film

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La recensione su Home Education - Le regole del male

di GIANNISV66
5 stelle

Occasione persa per un horror dalle premesse interessanti ma dagli sviluppi deludenti. Il regista dimostra di avere buoni mezzi, lo attendiamo in una prova sostenuta da una sceneggiatura degna di tal nome.

Una casa isolata in mezzo al bosco, una famiglia che definire bizzarra è quantomeno un eufemismo, una storia in cui è difficile comprendere quanto di quello che si vede sia dovuto ad elementi esoterici e quanto invece sia il prodotto della follia umana.

Questi in sintesi gli elementi di questo Home Education, ambiziosa opera prima di Andrea Niada che ha sviluppato l'idea partendo da un proprio cortometraggio del 2016.

Nella casa isolata giace il cadavere di un uomo, Philip, accudito amorevolmente dalla moglie Carol e dalla figlia Rachel, probabilmente un negromante (sul punto viene lasciato ampio spazio all'interpretazione dello spettatotore) che pare aver lasciato istruzioni alle donne della sua famiglia, impegnate ad eseguire una serie di azioni preordinate al "ritorno" del padre e marito.

In particolare la figlia pare dotata di poteri soprannaturali che le permettono di stabilire un contatto con l'aldilà: vaga tra gli alberi emettendo suoni terrificanti attraverso uno strumento (apparentemente un corno) che in qualche modo creano un ponte tra la stessa e gli spiriti di creature morte incontrate nella desolazione della foresta. Il tutto però sul filo dell'ambiguità, il dubbio che si insinua è che ciò che si vede sullo schermo sia solo il parto di una povera mente deviata a causa di una educazione familiare (la home education del titolo)  improntata al più rigoroso isolamento, evidentemente vittima della follia di due genitori con seri problemi di devianza psichica.

Del padre abbiamo già detto, una figura pressoché assente nella narrazione della storia (si vede solo il corpo in via di decomposizione) ma autentico convitato di pietra che allunga la sua ombra su ogni azione della sua famiglia; la madre Carol (una irriconoscibile Julia Ormond) appare come una persona profondamente plagiata dalle folli dottrine del coniuge, dedita a mantenere la figlia in un isolamento malsano,.

L'elemento di rottura della vicenda è rappresentato dal giovane Dan, figlio del datore di lavoro di Philip: attratto da Rachel cerca di instaurare con lei un rapporto di amicizia, non certo scoraggiato dal comportamento a dir poco eccentrico della fanciulla.

La sua comparsa determinerà il crollo dell'equilibrio molto precario della strana famiglia determinando il tragico evolversi della vicenda, di cui ovviamente non faremo menzione.

 

Diciamolo senza dilungamenti: Home Education alla fine della visione lascia molto chiara la sensazione di una occasione persa.

Persa perché sono molti gli elementi di questa pellicola che appaiono ben riusciti e correlati con il tema dominante di tutta la storia ovvero il rapporto inesplicabile tra la vita e la morte e la possibilità che esista un ponte che rappresenti un contatto tra due mondi inconciliabili.

A partire dalla oscura foresta in cui Rachel trascorre le sue giornate, quando non è oppressa dalle "lezioni scolastiche" della madre. Una foresta che sembra priva di vita, gli animali che incontra la ragazza sono morti e su di essi sperimenta le sue doti "negromantiche".

A questa si aggiunge l'isolamento quasi disperato della famiglia e il senso continuo di disfacimento che dal cadavere in decomposizione sembra trasmettersi all'intera casa. Persino Dan (l'interessante Rocco Fasano che, senza volersminuire il buon lavoro di Lydia Page nel ruolo di Rachel, risulta probabilmente il miglior attore del gruppo), l'elemento estraneo che cerca di insinuarsi all'interno delle dinamiche familiari, risulta un alieno rispetto alla concezione di una vita normale, un disadattato che crede probabilmente di trovare la propria anima gemella in Rachel e nelle sue stranezze.

Tutte queste componenti risultano efficaci nel restituire allo spettatore  un senso di profondo disagio.

Ciò che invece non funziona è purtroppo la componente più importante, ovvero la storia: risulta abbastanza evidente che l'idea iniziale, che il regista aveva sviluppato in un cortometraggio, è stata allungata per poter arrivare alla produzione di un lungometraggio. Il risultato è una narrazione eccessivamente lenta che finisce per depauperare la qualità complessiva dell'opera. E un finale raffazzonato non solleva certo il livello qualitativo.

Nel complesso non si può non riconoscere ad Andrea Niada il possesso di buone competenze registiche che però vogliamo vedere in futuro meglio impiegate, possibilmente in un film dotato di una sceneggiatura robusta e soprattutte di buone idee per realizzare un horror che ne valorizzi il talento (che in questa occasione è emerso solo parzialmente).

Il voto non eccessivamente severo rispetto all'effettivo risultato finale è la conseguenza di quanto sopra.

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