Regia di Ken Russell vedi scheda film
Nel commentare Donne in amore, Tullio Kezich nel 1970 scrisse: «Diremmo che il civilissimo film serve il romanzo con un garbo illustrativo non esente da intuizioni critiche, tipico frutto di una società come quella britannica che sa riflettere nello spettacolo i suoi contenuti». Non avendo letto il romanzo di D. H. Lawrence, non saprei dire se il film lo serva con "garbo illustrativo", ma certo che il critico non poteva essere meno preveggente riguardo alla carriera di un regista (che chiama erroneamente "esordiente", mentre Russell aveva diretto nel 1967 Il cervello da un miliardo di dollari) che avrebbe fatto dell'eversione visiva e narrativa uno dei tratti caratteristici della propria concezione cinematografica.
In ogni caso, va riconosciuto il valore di un'opera che conserva ancora oggi la sua carica trasgressiva, per come sa, con una sincerità fuori dal comune, sviscerare i vari aspetti dell'amore, senza trascurare un men che latente aspetto di omosessualità, nel rapporto tra Rupert e Gerald, che è una componente necessaria del vitalismo di Lawrence (e di Russell). Il regista, anche nel prosieguo della sua carriera, prenderà in esame quasi sempre personalità sessualmente ambigue o tormentate, da Ciajkovskij a Valentino, da Mahler a Liszt e Byron. Nel finale, infatti, Rupert non avrà remore nel confessare alla moglie di avere amato l'amico morto, di un amore che non sente in contrasto con quello per la donna, ma ad esso complementare.
Al fianco di Glenda Jackson, giustamente premiata quell'anno con l'oscar per questo film, due giganti come Alan Bates (uno dei miei attori preferiti di sempre) e Oliver Reed.
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