Regia di Ji-young Yoo vedi scheda film
È difficile spiegare perché nel K-drama di Yoo Ji-young, Birth, tutte le ambiguità e i sottintesi debbano assumere la forma coatta di una cascata di tragedie. Dell’importante durata di 2 ore e mezza infatti, 2 ore sono dedicate a costruire pezzo per pezzo le conseguenze di una gravidanza indesiderata su una giovane coppia di fidanzati, su di lei (Jay) che è scrittrice al suo secondo libro e si convince che la gravidanza le rovinerà la carriera, e su di lui (Geon-woo) che insegna inglese in una scuola e si scontra con l’arroganza del suo datore di lavoro. L’ultima mezz’ora, come detto, è la tragedia traboccante dovuta allo scontro fra la coppia e il resto del mondo: spinte positive ma soprattutto negative che incrinano il rapporto fra i due, lo stressano fino a insottilirlo pericolosamente, per poi farlo strappare. La regista supera molti stereotipi del K-drama - genere ben strutturabile e definibile, che parte da una romance spesso messa alla prova - ma cade in quello di apparire sensazionalista, diretto, come se il carattere più irrisolvibile della psiche dei due protagonisti debba essere necessariamente risolto dalla nettezza degli eventi, e dall’intransigenza della sfiga. Il montaggio oscillante e le attese in sospensione, nonché certi piccoli dettagli idiosincratici, convincono dell’intraprendenza di un progetto che però cede alla tragedia diventando il melò che non era, poco impaurito dall’abisso oscuro e per nulla consolatorio del suo finale, ma impaurito dalla libertà dei suoi personaggi rispetto a un demiurgo che metta pigri paletti concreti al mistero astratto della paura di vivere, partorire, condividere.
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