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Parthenope

Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film

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La recensione su Parthenope

di kubritch
6 stelle

Che Partenope sia un simbolo, un'illusione in cui ognuno ci vede ciò che vuole, non è un demerito, ma una caratura dell'arte contemporanea, astrusa alla maggioranza del pubblico borghese, incapace di lasciarsi andare a significati che trascendono la comunicazione convenzionale, cioè quella più superficiale. Intanto, diciamo subito che non è affatto un film surrealista. Il personaggio di Partenope è sicuramente di natura simbolica e anche un espediente, una sorta di macguffin per veicolare altro, il mondo interiore del regista/autore, un oggetto d'amore sfuggente e fuggito, appartenente ad un'età dell'innocenza perduta. Bisogna essere napoletani per capire il profondo legame quasi mistico con questa città dai caratteri ambigui e fortemente contrastanti. Si vede che è una figura di donna dal punto di vista vetero maschile come, d'altronde, lo sono tutte le donne nei film di S.: oggetti di un desiderio estatico e distante, intimidito, spiato riguardante più le forme, quasi in senso antico, che sull'essenza della donna. Il mistero e il segreto dell'attrazione sessuale. Omosessualità latente? Mi chiedo come mai le attrici di grande popolarità, che si sono prestate con entusiasmo non se ne siano accorte leggendo i copioni. Mi incuriosisce conoscere il loro punto di vista. Non vorrei azzardare analisi psicanalitiche ma Sorrentino mi sembra un po' bloccato all'adolescenza che è un problema dei maschi da quando esiste il cristianesimo. A che serve dire se un film è bello o brutto; mi piace/non mi piace? In Partenope ci sono cose che mi affascinano e mi interessano e altre nient'affatto; anzi, mi irritano. La ricerca del significato è un puro gioco, divertissement, enigmistico. 

- D'accordo sull'estetica da spot. Io l'ho notata sin dal film d'exploit, Le conseguenze dell'amore, dove c'è una sorta di spot della Bmw.

- La scena dell'accoppiamento tra i rampolli di due famiglie camorriste, non è pretestuosa; riprende, esattamente ciò che avveniva nelle famiglie nobili fino a qualche secolo fa. Tutti i cortigiani assistevano all'amplesso dei novelli rampolli, da dietro le tende del baldacchino, e dopo, magari, certificavano anche la verginità della donna. È successo. Sorrentino vuole dire che la malavita organizzata in famiglie di grande potere, ha preso il posto delle antiche dinastie. Sono i nuovi aristocratici e reali. Partenope attraversa questi mondi con occhio clinico da antropologa, e anche un po' compassionevole, provando a sospendere il giudizio. La decadenza, però, la insegue ovunque, a partire dalla famiglia d'origine. Sono belle le scene in cui conversa coi parenti in quel che resta di antichi edifici fatiscenti.    

Partenope cerca la magia; non si accontenta della realtà materiale, vuole di più, un'esperienza mistica e trascendentale, ma non la trova e non la troviamo neanche noi, perché l'attrice è, sì, bella, e rappresenta in pieno la donna mediterranea, ma, non avviene il colpo di fulmine come è accaduto per altre attrici esordienti, tipo Stefania Sandrelli, che qui interpreta Partenope da pensionata, in Divorzio all'italiana, o Sedotta e Abbandonata, o Claudia Cardinale in Il Gattopardo. Non ci appare come la dea che esce dalle spume del mare e ci folgora con la sua seduttività. 

Detto questo, il film non è una pietra miliare del cinema, ma nemmeno deve esserlo. L'Arena dei giudizi ha stancato. Siamo sfiniti e la nevrosi è ai massimi livelli. Tutto è giudizio. Un film è un'esperienza audiovisiva filtrata dalle sensibilità di chi l'ha reso fruibile; va presa così com'è. Solo Kubrick riusciva a piegare a suo favore le innumerevoli varianti del caso e sappiamo quali lussi riusciva a permettersi, stressando gli attori fino al limite e ritoccando l'opera anche dopo l'uscita. La scelta del giusto attore, della giusta faccia, è fondamentale, e deve rappresentare un'idea chiara del personaggio. Fellini docet.

- Il film è anche una critica ai napoletani e una denuncia della falsità e dello squallore dello showbusiness dietro la maschera, in quella che è la scena fulcro del film, assai poco politically correct e a tratti anche maleducata verso un'attrice che è considerata da tutti l'icona stessa di Napoli. Mi riferisco al discorso impietoso che fa la diva fax simile di Sophia Loren rivolta al pubblico durante una delle tante cerimonie celebrative della sua carriera cui dedicano anche una scultura. Per una strana coincidenza astrale la scena è concomitante alle polemiche sorte intorno all'istallazione del Pulcinella in una delle piazze principali della città partenopea. È una sorta di odissea al femminile, dove la protagonista conosce ad ogni tappa varie tipologie d'uomo.

- A livello drammaturgico è un'odissea in forma di romanzo di formazione, un'educazione sentimentale. 

Intendo, però, rivederlo per mettere a fuoco degli elementi che ho trascurato. La scena col carro funebre mi ha ricordato quella di "Il giudizio universale" di De Sica. 

Il senso della vita per Sorrentino? Maradona è meglio 'e Pelé, c'hanno fatt 'o mazz tanto pe' l'ave'! Alè oh oh! Quello che gira dentro il cranio dei Burt Simpson italiani. Non c'è un senso.

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